Negli ultimi anni è aumentata la richiesta di assistenza in cure palliative anche per malati non oncologici, che allo stesso modo necessitano di una presa in carico globale del malato e della sua famiglia. Tuttavia, è impossibile fare delle generalizzazioni, perché ogni patologia richiede un intervento specifico in relazione alle problematiche che causa al paziente. Ecco perché con questo articolo vogliamo avviare un percorso di conoscenza dell’approccio assistenziale necessario per alcune delle principali malattie non oncologiche, partendo proprio dal ruolo delle cure palliative nella SLA. Con il contributo di Maura Degl’Innocenti, medico palliativista, e Donatella Pozzi, infermiera palliativista al domicilio, cercheremo di comprendere le peculiarità dell’assistenza offerta da VIDAS ai malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica.
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La SLA è una malattia neurodegenerativa che colpisce il motoneurone: l’impulso del cervello diretto ad un muscolo viene interrotto e il movimento non si genera. Il malato di SLA si paralizza progressivamente. Quando la malattia colpisce i muscoli respiratori la persona avrà bisogno del ventilatore, che “respira” in sua vece.
La dott.ssa Maura Degl’Innocenti sottolinea l’importanza di una presa in carico globale della malattia:
“Spesso diciamo che la SLA è una malattia che non riguarda solo il malato ma tutta la famiglia, perché richiede un impegno assistenziale notevole: il caregiver deve essere sempre presente per farsi carico di tutti i bisogni del paziente e gestire tutti gli ausili necessari. I sintomi della SLA dipendono dallo stadio della malattia e comprendono la difficoltà a parlare, deglutire, essere autonomi nelle attività della vita quotidiana, e dolore se i muscoli si irrigidiscono. Ed è una malattia per la quale al momento non esiste una terapia risolutiva, ma solo sperimentazioni di farmaci”.
Donatella Pozzi, infermiera VIDAS a domicilio, conferma la necessità di assistenza anche psicologica:
“La malattia causa spesso una sofferenza globale, non solo fisica (perché i muscoli sono contratti), ma anche psicologica, perché col progredire delle disabilità si modifica la percezione ed il riconoscimento di sé e matura la consapevolezza di stare andando incontro alla morte”.
Il deficit causato dalla SLA è progressivo e può compromettere varie funzionalità, dall’alimentazione al movimento, alla comunicazione fino a quella più problematica della respirazione. Ecco perché nell’assistenza si può ricorrere a diverse tipologie di procedure e ausili, diversi in base allo stato di avanzamento della malattia: carrozzina, ventilatore, quando il paziente non riesce ad assicurarsi una ventilazione polmonare efficace, PEG, quando non riesce più ad alimentarsi in sicurezza. Un altro ausilio fondamentale è il comunicatore oculare, un computer i cui tasti vengono “toccati” dallo sguardo e che viene utilizzato quando si perde la possibilità di parlare o scrivere.
Donatella ci spiega in che modo le cure palliative intervengono nella cura della persona affetta da questa malattia:
“Essendo la SLA una malattia ingravescente il cui decorso può essere rallentato, ma non arrestato, anche se la persona malata accetta il posizionamento dei presidi alternativi, l’evoluzione della malattia porta alla necessità di controllo dei sintomi, che emergono soprattutto nella fase avanzata e terminale. Il paziente può scegliere se ricorrere o no all’ausilio di strumenti quali la PEG o la tracheotomia. Le cure palliative sono utili sin dall’esordio della malattia, ma divengono fondamentali per quei pazienti che decidono di non ricorrere alla ventilazione invasiva e nelle fasi terminali della malattia.”
VIDAS interviene nel decorso della malattia oltre che con la presenza di un medico e di un infermiere reperibili h24, anche con altre figure professionali – come fisioterapisti, logopedisti e psicologi – che contribuiscono al benessere della persona malata. Il supporto psicologico è offerto anche ai caregiver.
“Quello che può servire è un sostegno psicologico – oltre che sanitario, come ad esempio nella gestione di presidi e ausili –, perché la gestione della malattia è veramente impegnativa. La progressione lenta porta poi i familiari ad avere un investimento differente verso le scelte di fine vita, rispetto al fatto che ci si possa abituare ad una disabilità così continua, e quindi è difficile per tempi e modalità che il familiare e il paziente di SLA siano allineati. Il supporto psicologico è fondamentale e va assolutamente offerto, proprio per sostenere questa fase” ci spiega Donatella.
La principale differenza tra le cure palliative nella SLA e nelle malattie oncologiche riguarda la durata dell’assistenza a domicilio, come spiega meglio Donatella:
“La storia di malattia è più lunga rispetto ai malati tipicamente oncologici che seguiamo al domicilio. Le famiglie sono abituate a un percorso di malattia prolungato e caratterizzato dalla presenza attiva dei centri di riferimento sul territorio, ai quali sono molto legati. Inoltre, i malati e i loro famigliari sono abituati ad utilizzare molti strumenti ad alta tecnologia (ventilatori polmonari, pompe per nutrizione enterale, comunicatori, etc.), pertanto l’équipe di cure palliative deve personalizzare l’assistenza attraverso la loro conoscenza ed il loro utilizzo”.
La durata dell’assistenza dipende molto dal momento in cui il malato di SLA viene preso in carico. Per i malati di SLA le cure palliative dovrebbero entrare già dall’insorgere della malattia, gradualmente, ma garantendo al malato la possibilità di usufruirne in modo variabile e personalizzabile.
Sia per i malati di SLA sia per i malati oncologici le cure palliative assolvono ad uno stesso obiettivo, ossia riconoscere dignità alla persona e offrire la miglior qualità di vita possibile. Maura è molto chiara su questo punto:
“Dobbiamo pensare che quella persona non ha solo dei bisogni tecnici (come il sondino di aspirazione), ma anche psicologici. La possibilità di ascoltare fa la differenza. Ad esempio, quando vai a casa di un malato di SLA che fa fatica a parlare e impiega mezz’ora per un discorso che altrimenti avrebbe fatto in cinque minuti, bisogna sapere ascoltare. In altri setting può capitare che davanti a una difficoltà di questo tipo si facciano parlare i parenti al posto del paziente, togliendogli la voce, come se non esistesse. Quindi quella fatica a parlare e a essere ascoltati si traduce anche in una fatica a rimanere nel ruolo di persona, che invece dev’essere riconosciuto, continuando a dare alla persona la consapevolezza di avere ancora un ruolo nella società e nella famiglia, perché quando hai bisogno di tutto è facile perdere quello che potresti avere ancora.”
Il decorso lungo e degenerativo di questa malattia permette di discutere per tempo con il paziente in merito a ciò che potrà accadergli, mettendo per iscritto (o attraverso altri metodi) la sua volontà rispetto alle cure che vuole ricevere. Quando la scelta viene effettuata durante la malattia si parla di pianificazione condivisa delle cure che, a differenza delle Disposizioni Anticipate di Trattamento, rimane un documento nella cartella clinica, condiviso con tutta l’équipe curante. Rispettare fino alla fine le volontà del malato è infatti uno dei passaggi fondamentali che le cure palliative possono offrire.
A tal proposito, Maura ci racconta una testimonianza molto significativa dell’importanza di scrivere la pianificazione condivisa delle cure insieme al paziente malato di SLA:
“Abbiamo avuto una paziente con la quale avevamo scritto la pianificazione di cure condivise, ma suo marito, che aveva nominato come fiduciario, la pensava esattamente all’opposto. Lei aveva rifiutato la tracheotomia, aveva esplicitamente detto che in caso di crisi respiratoria voleva essere sedata, avevamo discusso nel dettaglio l’utilizzo dei farmaci e, quando è arrivato il momento in cui lei non ce la faceva più, il marito ha comunque posto dei paletti sulla sedazione, sull’uso della morfina etc. Lei alla fine riusciva solo a muovere un dito e con quel dito scriveva le lettere sulla coscia e ha scritto ‘Io mi fido di Maura’. Le ho chiesto se quello per lei era il momento di mettere in atto quello che avevamo messo per iscritto, e lei con un cenno del capo ha detto ‘sì’. Dopo ciò anche il marito si è arreso. La pianificazione condivisa delle cure permette al malato di fare delle scelte coerenti con i propri valori e con il proprio senso del limite, ma aiuta anche i familiari a condividere il peso delle scelte”.