Le malattie cardiache sono un gruppo eterogeneo di patologie che coinvolgono il cuore e i vasi sanguigni. Ad oggi, rappresentano una delle principali cause di morte in tutto il mondo, in quanto, associate prevalentemente allo stile di vita. È stato infatti dimostrato che i principali fattori di rischio siano: sedentarietà, il sovrappeso e l’obesità, il fumo di sigaretta, l’ipercolesterolemia, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa e la familiarità. Diverse possono essere le forme di presentazione di tali patologie tra cui l’aterosclerosi, l’infarto miocardico, l’angina, l’insufficienza cardiaca, le aritmie e le malattie congenite del cuore. Tra queste l’infarto acuto del miocardio è la manifestazione con maggiore incidenza, morbilità e mortalità Facciamo ora luce sul rapporto tra le cure palliative e le malattie cardiovascolari, grazie al contributo di Agnese Barone, medico palliativista di VIDAS.
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L’infarto miocardico, noto anche come attacco di cuore, si verifica quando il flusso sanguigno verso una parte del muscolo cardiaco viene bloccato, causando danni irreversibili al tessuto con un successivo quadro d’insufficienza d’organo, ossia il cuore non è più in grado di pompare il volume di liquido che riceve. Ma come si diagnostica una malattia cardiaca? La diagnosi coinvolge una combinazione di esami medici, come l’elettrocardiogramma (ECG), l’ecocardiogramma, la prova da sforzo e gli esami del sangue. A questo si affiancano poi i sintomi tipici di questa patologia:
La dottoressa aggiunge:
“Nell’evoluzione della patologia, la compromissione progressiva delle funzionalità e capacità motorie è spesso accompagnata da alterazioni intellettive con decadimento cognitivo-comportamentale (soprattutto nei pazienti più anziani con diverse comorbidità). Ciò altera non solo la qualità di vita del paziente, che talvolta non è in grado di riconoscere i propri limiti fisici, esponendosi al rischio, ma esaspera i rapporti familiari e sociali, non essendo i caregivers orientati sul management della complessità dei sintomi e delle crescenti esigenze”.
Il decorso della malattia nell’insufficienza cardiaca è complesso. Sebbene sia tipicamente caratterizzata da crisi acute o riacutizzazioni ed esacerbazioni seguite da periodi di stabilità che durano mesi o addirittura anni, anche la morte improvvisa è una possibilità. Infatti il rischio di morte improvvisa è da 6 a 9 volte maggiore rispetto quello della popolazione generale. Risulta, pertanto, difficile prevedere chi è a rischio di morte improvvisa mancando chiari indicatori prognostici per identificare la fine della vita.
In linea di massima il trattamento delle malattie cardiache dipende dalla loro gravità e può giovare di suscettibili modifiche dello stile di vita, come una dieta equilibrata, l’esercizio fisico regolare e l’astensione dal fumo. Nella malattia avanzata è necessario intervenire farmacologicamente con farmaci di diverse categorie tra i quali: antiaggreganti e anticoagulanti, diuretici, antipertensivi. O tramite interventi chirurgici per rivascolarizzare i vasi ostruiti tramite bypass o angioplastica e talvolta con impianti di dispositivi pacemaker e defibrillatori in caso di anomalie gravi del ritmo cardiaco.
La prevenzione delle malattie cardiache è di fondamentale importanza. Adottare uno stile di vita sano, mantenere un peso corporeo adeguato, fare attività fisica regolare, seguire una dieta equilibrata, evitare il fumo e gestire in modo appropriato altre condizioni mediche possono contribuire a ridurre il rischio di sviluppare malattie cardiache. Sicuramente si tratta di patologie che rappresentano una sfida significativa per la salute pubblica, ma con una corretta prevenzione, diagnosi precoce e gestione adeguata, è possibile ridurre l’impatto di queste malattie e migliorare la qualità di vita delle persone affette.
In pazienti con malattie croniche non maligne, come l’insufficienza cardiaca, non si dovrebbe basare l’inizio di un percorso di cure palliative esclusivamente sulla prognosi, perché si rischierebbe di non dare adeguata risposta ai bisogni significativi del paziente.
“Il decorso della malattia nell’insufficienza cardiaca è nettamente diverso da quello del paziente oncologico in fase terminale. I pazienti con scompenso cardiaco hanno più riacutizzazioni (crisi) e recuperi con una cronicizzazione della patologia di base, ma nella maggior parte dei casi con un progressivo scadimento delle condizioni cliniche e deterioramento delle funzioni residue. Ogni evento avverso, nell’insufficienza cardiaca si traduce in un ricovero ospedaliero. Il paziente può ricompensarsi a un livello percettivamente “migliore”, tuttavia potrebbe non tornare al precedente livello di funzionamento con una riduzione dell’indipendenza, della vita sociale e un aumento del carico familiare. Questi problemi sono spesso peggiorati dalle limitate risorse a disposizione dell’individuo e delle famiglie, e dalla carenza di supporto da parte dei servizi ospedalieri, comunitari e territoriali”.
Sarebbe auspicabile, in un sistema ideale, che l’intervento delle cure palliative fosse introdotto non solo come erogazione di cure e servizi, ma proprio come filosofia di vita, già alla diagnosi di malattie inguaribili, concentrandosi sui bisogni del paziente e non solo sull’ipotetica prognosi. Ciò ridurrebbe il carico di ospedalizzazioni e accessi in Pronto Soccorso (tradotto in riduzione della spesa pubblica da parte del SSN), permetterebbe di trattare precocemente e in modo proporzionale i sintomi persistenti e disturbanti, supportando la famiglia nella gestione di pazienti complessi che tendono ad ogni riacutizzazione a perdere le proprie autonomie.
Nei pazienti affetti da scompenso cardiaco, le cure palliative sono indispensabili per:
Abbiamo intervistato la dottoressa Barone per condividere con noi un’esperienza personale che ha vissuto durante il suo lavoro presso VIDAS, in relazione a un caso di malattia cardiaca. La dottoressa ci ha raccontato la storia di Giulia, una donna di 55 anni affetta da diabete insulinodipendente sin dall’età di 11 anni, il quale ha progressivamente e irreversibilmente compromesso il suo sistema vascolare.
“Giulia ha avuto il primo infarto del miocardio a 33 anni, ha un’insufficienza renale grave, un’ipertensione polmonare severa, una vasculopatia degli arti inferiori con estese ulcere che coinvolgono entrambi i piedi e le gambe. È stata ricoverata 5 volte nell’ultimo anno per scompenso. Veniamo contattati dall’ospedale perché Giulia ha un’insufficienza cardiaca grave. Il suo cuore batte ancora grazie a una pompa che infonde lentamente dopamina, farmaco che permette ancora al suo cuore fragile di contrarsi. La prima volta che la vedo è consapevole che ogni battito del suo cuore potrebbe essere l’ultimo. Ha molto dolore e respira a fatica, è obbligata a dormire seduta sul divano.Mi accoglie sorridendo e mi dice: “Dottoressa io sono abituata ad essere malata da tutta la vita, non mi interessa il “quando” ma il “come”. Giulia e il marito, che le sta sempre accanto, si affidano e accettano di iniziare terapia con oppioidi per il controllo di dolore e dispnea. Monitoriamo il suo labile equilibrio, trattiamo le sue ulcere, la sosteniamo nelle scelte. Le chiedo se ha un desiderio, mi guarda ridendo, chiede al marito di aprire una scatola riposta dentro l’armadio. All’interno ci sono delle scarpe rosse, in pelle lavorata a mano, sono nuove. “Mi piacerebbe tanto poterle indossare, le ho comprate sperando di farci una bella passeggiata al parco, so che sembra stupido ma mi chiedo spesso se indosserò mai più delle scarpe”. Giulia si è lentamente ripresa. Ha camminato per 18 mesi accanto a noi in quelle scarpe rosse, le stesse che ha indossato anche nel suo ultimo viaggio”.