Rasha è una giovane donna egiziana, arrivata in Italia nel 2021, con il marito Ahmed e i tre figli: Ziad, 13 anni, Omar, 11, e Zena, tre e mezzo. Il piccolo Ziad, nato sano e a termine, ha subito, nel corso di un travaglio complicato, un danno cerebrale da anossia, ovvero mancanza di ossigeno. Non parla, non cammina, ha una grave epilessia e problemi respiratori. Qui in Italia ha potuto ricevere le cure di cui ha bisogno, è migliorato e si è stabilizzato. Sta bene, sorride Rasha.
Siamo a casa sua, a Quarto Oggiaro, periferia nord-ovest di Milano. Ha accolto me e Lara, che firma gli scatti su queste pagine, con una torta di panna e fragole su cui campeggiava il logo di VIDAS, fatta per noi da un pasticciere. In casa, oltre a Ziad, Zena e Ahmed, ci aspettava la nostra micro équipe: Sara Meriggi, assistente sociale, Donatella Pozzi, infermiera, Giovanna Visconti, medico.
Rasha racconta la sua storia con lucida pacatezza. Parla con Jana, mediatrice linguistica e culturale in staff all’équipe pediatrica, che traduce per noi. Le chiedo quanto è stata importante l’assistenza di VIDAS e non ha esitazione:
“Senza VIDAS, non ce l’avremmo fatta. Ci sono stati vicini e ci hanno sostenuto in tutto, anche a cercare una casa più grande, dove finalmente abbiamo tanto spazio. VIDAS ha cambiato la nostra vita”.
La mamma, spiega Jana, quando è arrivata in Italia, si è sentita persa ma i due mesi in Casa Sollievo Bimbi, con Ziad, l’hanno resa forte e sicura di sé. La sua famiglia è serena.
Le famiglie di lingua araba sono circa due terzi di quelle in cura all’équipe pediatrica. Dal 2017, Jana viene chiamata ogni volta che la barriera linguistica è un ostacolo a una buona relazione di cura.
Le chiedo in cosa consiste il suo ruolo. “Creo un ponte tra dottori e famiglie, aiutandole quando sono più spaventate. Spiego che il sollievo significa la possibilità di essere affiancati e sostenuti nel compito difficile di convivere con le malattie rare e essere abilitati a curare a casa i loro bambini. Spiego quale percorso verrà seguito in Casa Sollievo Bimbi, quale aiuto riceveranno a domicilio, ogni cosa”.
Non si tratta di interpretariato, è avvicinare persone con visioni diverse: “Uso spesso l’espressione ‘Se Dio permette’, Inshallah nella cultura araba ringraziamo spesso Dio, anche nella sofferenza e nelle difficoltà. Faccio entrare la fede nei colloqui con le famiglie perché le rassicura, crea vicinanza, mette le basi per la fiducia. La religione, che sia musulmana o cristiano copta, e la fede entrano nel percorso di malattia perché, per noi arabi, i medici agiscono sotto lo sguardo di Dio e di loro bisogna fidarsi. Spiego quanto è importante quello che fa l’équipe per il bene dei loro figli, alleviando la loro sofferenza. So che, senza la mediazione, sarebbero persi. Lo capisco dai loro occhi, dagli sguardi, prima che dalle parole, quando si rasserenano e diventano capaci di affrontare la situazione, di gestire la malattia grave”.
Questo articolo è tratto dal numero di Luglio 2023 del Notizario “Insieme a VIDAS”. Sfoglialo QUI