Fin da ragazzina Letizia ama e pratica la musica e il canto, partecipando a cori e a diverse formazioni musicali e compiendo studi musicali privati. Contemporaneamente, pur lavorando per diversi anni nel settore dell’editoria musicale, sente crescere il desiderio di poter operare nel campo della terapia. Mettendo insieme queste due passioni, arriva alla decisione di intraprendere un percorso di formazione triennale in musicoterapia, a cui affianca la formazione specifica nel Modello Benenzon, un modello di musicoterapia e terapia non verbale riconosciuto a livello internazionale.
L’esperienza professionale di Letizia si declinata in diversi settori, dal lavoro negli asili e nelle scuole fino agli interventi clinici individuali su pazienti con difficoltà o disabilità, a cui affianca percorsi di gruppo dedicati a giovani con disabilità psichica e ad anziani con malattie neurodegenerative.
Arriva in VIDAS grazie all’interessamento della collega Silvia Meroni, arpista e musicoterapeuta che lavora da anni in Casa Sollievo Bimbi, aggiungendosi a lei con un intervento settimanale in Casa VIDAS. Abbiamo intervistato Letizia al termine di una sessione del venerdì mattina.
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L’intervento di musicoterapia utilizza il suono e la musica, e in generale tutti i codici della comunicazione non verbale, come mediatori della relazione terapeutica. Entrando in rapporto con i pazienti attraverso l’ascolto musicale e, tutte le volte che è possibile, anche attraverso la pratica attiva della musica è possibile far sperimentare loro dei momenti di benessere nel presente, per quanto faticoso esso possa essere. Ed è anche possibile suscitare emozioni, richiamare ricordi, ripercorrere e condividere la storia di ognuno, in modo potente ma al tempo stesso mediato e sublimato dall’esperienza musicale.
Tutte le volte che è possibile, mi piace lavorare in un piccolo gruppo, negli spazi comuni della struttura, con l’aiuto prezioso del personale e dei volontari. I pazienti e i loro familiari sono sempre molto lieti di accogliere una proposta di condivisione attraverso la musica e spesso sono i primi a venirmi incontro, a offrirmi loro stessi spunti e idee per condurre il lavoro, con una disponibilità e un entusiasmo che non mi aspettavo.
Attraverso le canzoni in particolare cerco di prendermi cura dei diversi pazienti e al tempo stesso di stimolarli alla condivisione. Cosicché accade che ognuno, dai più estroversi ai più reticenti, possa aprire una finestra sulla propria personalità e sulla storia, mettendola in comune con gli altri. Capita così che si possa godere dello stare insieme nel qui e ora, condividendo la bellezza di una canzone cantata insieme o ascoltata, oppure la ricchezza e la particolarità dei loro vissuti.
È anche possibile e utile lavorare in modalità individuale, raggiungendo i pazienti nella propria stanza e, prima di ogni cosa, ponendosi per prima cosa in un atteggiamento di osservazione e ascolto nei loro confronti, così da modellare di volta in volta l’intervento musicoterapico in relazione ai bisogni di ciascuno.
Nelle sedute collettive, la chitarra è un ottimo strumento di accompagnamento, perché contribuisce a creare integrazione nel gruppo e anche buonumore, essendo associata, nella nostra cultura, al ritrovarsi e all’intrattenersi in compagnia. Mi è anche capitato che a un paziente, che suonava la chitarra ma non la toccava da anni, sia tornata la voglia di prenderla in mano e provare a suonarla.
Nei momenti di particolare fatica o tensione ho riscontrato, nella mia esperienza, che è spesso utile lavorare con i suoni naturali e in particolare col suono dell’acqua, che è un suono ancestrale. Come tale può avere un effetto calmante e rasserenante, quindi mi capita di usare ocean drum e clessidre d’acqua.
La musicoterapia può offrire benefici in termini di miglioramento del tono dell’umore, di rilassamento e di riduzione dell’ansia e dello stress, sia nei pazienti sia nei loro familiari. Soprattutto, la relazione terapeutica mediata dalla musica e dalla comunicazione non verbale si offre come possibilità di accoglienza della persona e della sua sofferenza, di condivisione profonda fino alla fine, persino quando le parole vengono meno.
In generale ogni paziente ha una sua identità sonora, e quindi ha la sua canzone o le sue canzoni del cuore. Può trattarsi delle canzoni che hanno amato e cantato da bambini o ragazzi. O ancora delle canzoni che hanno ascoltato e cantato coi loro figli e i loro nipoti. O di quelle del loro artista o del loro genere musicale preferito. Queste canzoni fanno spesso riferimento a una base culturale comune, che ne facilità la condivisione con i presenti. Oppure si offrono come brani strettamente legati alla propria origine o storia personale.
Mi è capitato per esempio di cantare a una donna messicana in visita presso un parente un canto tradizionale del suo paese, suscitandole grande sorpresa ed emozione. Oppure di cantare con e per un paziente una vecchia canzone che gli cantava sempre la sua mamma.
Appena arrivata in VIDAS ho incontrato un paziente molto anziano che era un musicista professionista. Ha voluto insegnarmi alcuni passaggi armonici e melodici particolari, con tanto di pentagramma disegnato a matita su un foglio di carta… Così puoi farli in qualsiasi canzone, mi ha detto… Ho trovato straordinaria e commovente questa voglia di condividere e tramandare la bellezza della musica, che quest’uomo aveva sperimentato per tutta la vita. La musica è una compagna di viaggio preziosa per la nostra vita, che rimane fino alla fine.