È vero, sulla carta, possono sembrare sentimenti contrastanti, addirittura opposti. Come mai a volte nella vita si rivelano complementari?
Parliamo di rabbia/ impotenza, e del confidarsi/affidarsi. Basta a volte lo scarto brusco di umore, o di bioritmo, dalla mattina a un pomeriggio, o alla sera, per sapere come ci si possa sentire destabilizzati e in difficoltà, poi sollevati e fiduciosi, non necessariamente in questa sequenza. E nessuno direbbe, in linea di massima, che soffriamo di disturbi dell’umore, o peggio della personalità.
Cosa può provare allora un malato consapevole della sua fine, a breve? Della sua mortalità? “Mortalità” è proprio il titolo di quel capolavoro ironico, commovente, crudele e umanissimo che Christopher Hitchens ha scritto… fino alle penultime parole: le ultime aggiunte dalla moglie lì presente. E che mi suggerisce tra tante altre, non so perché, la figura sghemba e un po’ ghignante del pittore Dubuffet: ma attenzione è un “mago”, ci dice l’autore; dunque pratica trucchi, non c’è da fidarsi, lo spettro delle illusioni è quasi infinito.
E poi, Roland Barthes e Lella Ravasi Bellocchio che parla di Roland Barthes e lo fa parlare con una delle tante lezioni da lui tenute. Credo che il peso-piuma di un sapere profondo trovi qui una delle più straordinarie descrizioni mai apparse in letteratura (ma forse anche in filosofia). Con loro, incontriamo un grande Monet che ritrae l’adorata moglie Camille in punto di morte, e un Pontormo che accende di colori violenti la tela a sottolineare un incontro speciale.
E infine Giuni Russo, scomparsa troppo, ma veramente troppo giovane, con quel suo viso così intenso, i capelli che appena stanno ricrescendo dopo la chemio, canta “La sua figura”. Non posso dire altro, e neanche scriverlo: mi si è annodata la gola, devo scioglierla. Sì, certo che poi passa. E si torna a cercare, guardare, imparare.
La fase della contrattazione, allora. Forse qui c’è una via d’uscita. L’oncologia ti propone un accordo: in cambio della speranza di qualche anno utile in più, accetti di sottoporti alla chemioterapia e poi, se funziona, alla radioterapia o persino a un intervento chirurgico. E questa è la posta: resti in circolazione per un po’, ma in cambio ti portano via alcune cose. Può trattarsi delle tue papille gustative, della tua capacità di concentrarti o di digerire, e dei tuoi capelli: si tratta senz’altro di uno scambio ragionevole. Sfortunatamente, ti impone anche di fare i conti con uno dei più fortunati cliché della nostra lingua. L’avete sentito di sicuro. La gente non ha il cancro: si dice che lotta contro il cancro.
Non c’è amico che si astenga da quest’immagine bellicosa: puoi sconfiggerlo. La ritrovi persino nei necrologi di quelli che la battaglia l’hanno persa, come se avesse un senso dire che sono morti dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro la mortalità. Non la si applica a chi ha sofferto per anni di cuore o di un blocco renale.
Quanto a me, l’immagine della lotta mi piace. Talvolta rimpiango di essere solo un paziente gravemente ammalato, invece di soffrire per una buona causa o rischiare la vita per il bene degli altri. Sappiate, comunque, che quando sei seduto in una stanza con una batteria di altri finalisti, e un’anima gentile arriva con un’enorme sacca trasparente di veleno e te la collega al braccio, e tu leggi o non leggi un libro mentre la sacca tossica si svuota goccia a goccia nel tuo organismo, l’immagine ardente del soldato e del rivoluzionario è proprio l’ultima che ti viene in mente. Ti senti sprofondare nella passività e nell’incapacità: ti dissolvi nell’impotenza come una zolletta di zucchero nell’acqua.
CHRISTOPHER HITCHENS, Mortalità, Piemme Edizioni, 2012
Jean Dubuffet (1901-1985)
Il mago dal naso sottile (1951)
Dunque, io soffrirò con l’altro, ma senza pesare, senza dannarmi. A questo comportamento, insieme molto affettivo e molto controllato, molto appassionato e molto civile, possiamo dare un nome: è la delicatezza: essa è in pratica la forma “sana” (civilizzata, artistica) della compassione. (Ate è la dea del turbamento della mente, ma Platone parla della delicatezza di Ate: il suo piede è alato, esso tocca con leggerezza).
ROLAND BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso, Einaudi, 1979La sapienza che cura è raccontata da Roland Barthes, in una delle sue ultime lezioni: «Vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa; ma poi ne viene un’altra in cui s’insegna ciò che non si sa: questo si chiama cercare. Ora è forse l’età di un’altra esperienza: quella di disimparare, di lasciar lavorare l’imprevedibile rimaneggiamento che l’oblio impone alla sedimentazione delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato. Questa esperienza ha, credo, un nome illustre e demodé, che io oserò impiegare qui senza complessi, proprio nell’ambivalenza della sua etimologia: Sapientia: nessun potere, un po’ di sapere, un po’ di saggezza, e quanto più sapore possibile». (Roland Barthes, Lezione, Einaudi 1981)
LELLA RAVASI BELLOCCHIO, La lunga attesa dell’angelo, Raffaello Cortina, 1992
Claude Monet (1840-1926)
Camille Monet sul letto di morte (1879)
Jacopo Pontormo (1494-1556)
Visitazione (1530-1532)
Ascolta Giuni Russo che canta “La sua figura“.