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09.06.2024  |  Operatori

La forza della delicatezza

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Chiara Sassi è un’assistente sociale storica di VIDAS. Da oltre 20 anni combina determinazione e delicatezza nel suo lavoro quotidiano, coordinando la rete di supporto territoriale e offrendo ascolto, guida e un aiuto concreto in momenti di grande difficoltà a pazienti e famiglie

Non lasciatevi ingannare dal suo aspetto: Chiara Sassi è tanto minuta quanto determinata. Ogni giorno porta avanti il suo lavoro di assistente sociale con una tenacia che va molto oltre l’ordinario.

“Non esiste una giornata tipo nel mio lavoro,” racconta Chiara, “ogni mattina si apre con una nuova storia, un nuovo bisogno di ascolto e aiuto.”

C’è una presenza costante che non l’abbandona mai: il telefono. “Veniamo contattati in primis dalle famiglie o da altre persone significative per i pazienti. Oppure direttamente dagli ospedali che ci segnalano alcune situazioni o anche dai medici di famiglia.”

Il leitmotiv di queste conversazioni telefoniche è essenzialmente uno. “Le famiglie si sentono abbandonate, nel momento in cui terminano i controlli o le cure ospedaliere,” spiega Chiara. “Spesso non trovano supporto dal medico di base e quindi quando ci chiamano esprimono il bisogno di trovare in noi una nuova guida.”

Chi trova un’assistente sociale trova un tesoro

La scelta di VIDAS di rendere l’assistente sociale la figura adibita ad accogliere le richieste di aiuto che giungono all’associazione, ovviamente, non è casuale. Gli assistenti sociali, infatti, possono offrire competenze molto ampie, non solo nel campo sociale, ma anche sanitario, psicologico ed educativo, grazie ad un percorso formativo molto articolato.

“I colloqui di primo accesso sono più di semplici scambi di informazioni, perché possono dare l’avvio a un percorso assistenziale. Sono occasioni per stabilire una connessione autentica. Riserviamo un grande ascolto alle famiglie, ripercorriamo con loro il percorso di malattia, ma soprattutto cerchiamo di individuare quelle risorse, quelle potenzialità che tutti hanno, ma che in momenti di grande stress fanno fatica a ritrovare in se stessi.”

Chiara diventa così testimone e narratrice di storie di vita, di resilienza e di amore. Come quando ha aiutato a realizzare il desiderio di un paziente di vedere suo figlio sposarsi. “Abbiamo organizzato una piccola cerimonia nell’hospice, con tutti i dettagli curati per permettere al nostro paziente di partecipare.”

Coordinamento e collaborazione

Prevalentemente però, Chiara coordina la rete di supporto VIDAS.

Ogni assistente sociale è parte di un’equipe territoriale e coordina sia le risorse interne sia le risorse territoriali. Manteniamo attiva la collaborazione con i servizi locali, principalmente con gli ospedali, con i quali interagiamo quotidianamente per organizzare le dimissioni dei pazienti ricoverati.

Collaboriamo anche con altri servizi di assistenza domiciliare, ai quali ci sostituiamo quando la condizione di un paziente peggiora. E con altri hospice, poiché alcuni pazienti, pur entrando in degenza, possono esprimere il desiderio di ritornare a casa.

Infine, interagiamo anche con i servizi sociali del territorio e con le organizzazioni di volontariato, ricevendo direttamente da questi ultimi alcune richieste di intervento nelle aree in cui operiamo.”

Storie inaspettate di gatti e paesi lontani

In 22 anni di onorato servizio, a Chiara è capitata anche una buona dose di cose inaspettate che non avrebbe mai pensato di dover gestire. “Ad esempio, dopo il decesso di una signora che viveva sola con sette gatti, mi sono occupata di trovare una nuova famiglia per questi animali, contattando un’organizzazione di volontari”. E sì, Chiara è riuscita a fare in modo tutti i micetti trovassero una nuova casa.

“Mi è anche capitato di occuparmi del rimpatrio della salma di una signora filippina. Aveva espresso il desiderio di tornare nella sua terra e di essere sepolta lì, in modo che la sua famiglia potesse avere la sua presenza vicina.”

Quanta differenza fa un lavoro fatto bene

Il lavoro di assistente sociale non è per tutti, è un lavoro intenso, lungo ed emotivamente provante. Ma regala anche grandi soddisfazioni.

“Un episodio che  mi è rimasto nel cuore è quello del signor P., un uomo di circa 60 anni, rimasto solo al mondo,” racconta Chiara. “Aveva perso la sorella in giovane età per un incidente stradale e, un paio di anni prima di ammalarsi, aveva perso la madre, con cui aveva sempre vissuto. Non è stato facile agganciare questa persona, che ci era stata segnalata dai volontari della parrocchia vicino a casa. Tuttavia, grazie all’attenzione e alla delicatezza dei nostri operatori domiciliari, che si sono fatti carico di una situazione molto difficile – spesso infatti altri enti erogatori di cure palliative non prendono in carico pazienti a domicilio in assenza di familiari di riferimento – siamo riusciti ad attivare l’assistenza“.

“Quando la situazione è ulteriormente peggiorata, insieme con la collaborazione dell’assistente sociale del Comune siamo riuscite a convincerlo a venire nel nostro hospice, in Casa VIDAS, dove è rimasto per un paio di settimane fino a quando si è spento. La cosa che mi ricordo e che mi gratifica di più di questa situazione è proprio lo sguardo del signor P., che ha chiesto di me un paio di giorni dopo il ricovero.” Chiara incontra un uomo con due occhi brillanti e fa fatica a riconoscerlo “perché era stato tutto sbarbato e le nostre OSS gli avevano tagliato i capelli. Era un’altra persona, ma estremamente felice di essere venuto da noi, e mi aveva detto che, se avesse saputo che il luogo era di questo tipo, sarebbe venuto anche prima.”

Il signor P. viveva in una situazione di grave indigenza, che comprometteva ulteriormente la sua situazione di salute molto precaria. Grazie alla determinazione di Chiara, P. ha potuto vivere un fine vita sereno, dignitoso e con la sensazione impagabile – dopo tante privazioni – di essere finalmente accudito.

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