Giovane, appassionata e tostissima, Sara Meriggi è l’assistente sociale dell’équipe pediatrica VIDAS. Il suo lavoro comincia nel momento in cui le famiglie si avvicinano alla nostra realtà.
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“Insieme al medico e all’infermiere, sono una delle prime figure che le famiglie incontrano,” spiega Sara. “Il mio compito primario è accogliere queste famiglie attraverso un colloquio di presa in carico. Cerco di conoscerle, certo, ma anche di farci conoscere.”
La fiducia in questi casi è tutto e “accogliere” significa letteralmente “raccogliere insieme”, un concetto che ben rappresenta l’inizio del percorso che una famiglia intraprende quando arriva in Casa Sollievo Bimbi.
L’attività lavorativa di Sara richiede una grande flessibilità, dal momento che cambia moltissimo a seconda della tipologia di paziente e del momento in cui avviene la presa in carico. “Può essere per un’abilitazione genitoriale, per la costruzione di una rete, o per un accompagnamento,” racconta. “Tre esperienze diversissime, che richiedono quindi azioni molto diverse tra loro.”
La costruzione di una rete di supporto sul territorio, in particolare, è cruciale. “È un lavoro difficile perché bisogna interfacciarsi con svariati servizi, ognuno con una propria organizzazione e una visione di come dovrebbero essere le cose. Ma bisogna tenere sempre a mente che l’obiettivo principale è supportare i nostri piccoli pazienti e le loro famiglie. Quando riusciamo a costruire insieme qualcosa, andiamo oltre ciò che può fare un singolo professionista o un singolo servizio. È un obiettivo che ci spinge a dare il massimo.”
Bisogna poi mantenere questa rete costante nel tempo. “Quello che molte persone non sanno è che le cure palliative pediatriche vanno oltre la terminalità, gestendo la qualità di vita dei pazienti e delle famiglie in un determinato momento della malattia, che può anche essere lontano anni dal fine vita,” chiarisce Sara. “Negli ultimi tempi, abbiamo visto un aumento delle famiglie che ci contattano autonomamente, grazie al passaparola e alle testimonianze di altre famiglie che raccontano la loro esperienza con il nostro servizio.”
Una famiglia dove è presente un bambino malato, infatti, richiede tutto il supporto che può riuscire ad ottenere. “Le difficoltà che affrontano queste famiglie sono tantissime. Una diagnosi di malattia in un bambino destabilizza l’intero nucleo familiare,” spiega Sara. “Spesso uno dei genitori – e quasi sempre si tratta della madre – deve lasciare il lavoro per occuparsi del proprio figlio, riducendo così il reddito familiare. In un contesto di tagli ai supporti statali, questo è un problema molto grande.”
Così queste famiglie si ritrovano non solo a far fronte ai costi della vita quotidiana, ormai in aumento costante, ma anche a quelli legati alla cura del bambino.
“La frustrazione più grande che provo è non riuscire a supportare tutte le famiglie” – continua – “soprattutto quelle che si trovano in territori dove il nostro servizio purtroppo non arriva. Riceviamo chiamate anche da regioni del Sud Italia, dove ci sono meno risorse disponibili. Anche se adesso credo che le cose stiano cambiando e che sempre più regioni stiano attrezzandosi per offrire servizi simili al nostro, sentire un genitore che racconta le proprie difficoltà senza poter offrire un’assistenza adeguata è un colpo al cuore”.
Ecco perché una delle gioie più grandi che Sara prova nel suo lavoro – per contraltare – è riuscire a trovare le risorse migliori per soddisfare i bisogni delle famiglie che si rivolgono a lei.
“Quando riesco a rispondere alle loro esigenze, sento di aver fatto davvero la differenza. Ad esempio, ricordo una mamma che mi ha ringraziato con un abbraccio dicendomi che l’avevo aiutata a mettere ordine in un momento molto difficile della sua vita, dove sembrava che ci fosse solo caos.”
Ogni famiglia ha la sua storia, ma alcune entrano sottopelle più in profondità. “Sadia” – dice Sara con un sorriso a metà tra il commosso e il divertito – “Salma e Shaidur sono una famiglia fantastica. Si è creato da subito un forte legame. Ho lavorato gomito a gomito con Shaidur [papà di Sadia] per far ottenere tutti i documenti necessari per riconoscere l’invalidità della bambina, che ha una malattia talmente rara che per riconoscerla è stato necessario mandare le analisi in un laboratorio negli Stati Uniti.
Sono riuscita anche ad ottenere un visto per la nonna e farla venire dal Bangladesh in un momento difficilissimo per Salma [mamma di Sadia], e ho attivato tutte le risorse sanitarie e sociali disponibili sul territorio – compresa la possibilità di trovare un nuovo alloggio, più idoneo alle esigenze della bambina. Mi ricordo ancora la commozione di Shaidur quando l’addetto comunale ci ha confermato che gli assegnavano un appartamento popolare. Andava oltre le parole. Ogni piccolo passo è stato importante per garantire il benessere di Sadia e della sua famiglia”.
Oggi Sadia va a scuola ed è diventata la sorella maggiore di una bimba bella quasi quanto lei. “Il suo percorso mi rimarrà sempre nel cuore.”