Gli oggetti raccontano storie, custodiscono ricordi e, quando perdiamo una persona cara, acquisiscono un valore simbolico, diventando un ponte tra ciò che è stato e ciò che non sarà più. Questo rende il distacco emotivamente complesso. Lo svuotamento di una casa o la scelta di conservare alcuni oggetti diventa un momento carico di significato, un passaggio importante nel processo di elaborazione della perdita.
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Quando una persona muore, gli oggetti e gli spazi che le appartenevano diventano carichi di ricordi e testimonianze della sua vita.
Una sedia, un libro, un vecchio maglione possono evocare immagini, emozioni e persino voci. Il distacco da questi oggetti è un processo intimo e personale, che viene influenzato molto dalla propria personalità, dalla relazione con il defunto e dalle circostanze del lutto.
Per molti, conservare tutto com’era rappresenta una maniera per trattenere l’illusione della presenza di chi non c’è più, un modo per non lasciarlo andare del tutto, ma questo può ostacolare l’elaborazione stessa del lutto. La conservazione degli oggetti del defunto, così come li aveva lasciati, può infatti tramutarsi nella “creazione di pantheon personali, in cui gli oggetti sono lì non tanto per il loro valore o senso intrinseco quanto per il loro essere appartenuti a chi non c’è più.”
Ciò può rallentare la metabolizzazione del dolore causato dalla perdita e, di conseguenza, aumentare la difficoltà a passare ad un nuovo capitolo della propria vita.
Una chiave di volta, come vedremo più avanti grazie all’esempio di Sabia, potrebbe essere quella di ripensare questi oggetti sotto una nuova luce.
Come detto, gli oggetti e gli spazi legati ad una persona che non c’è più provocano emozioni intense. Soprattutto in un primo momento, possono essere percepiti come surrogati di quella persona, rendendo difficile la separazione. Ma se possono consolare, possono anche ferire, rievocando il vuoto della perdita
Molte persone scelgono di conservare tutto intatto, per prolungare l’illusione della presenza. Al contrario, altri decidono di separarsi subito dagli oggetti per affrontare prima il dolore e accettare la perdita, pur vivendo una grande difficoltà emotiva.
Se non c’è un modo giusto o sbagliato per elaborare il lutto, sicuramente ripensare gli oggetti in una nuova luce ne aiuta l’elaborazione. “Ripensare”, infatti, non significa rinunciare al ricordo, ma trasformarlo in qualcosa di vitale e positivo.
Un esempio eccezionale ce lo fornisce Sabia, una ragazza di 22 anni, che insieme alla sua famiglia sta affrontando la morte di uno dei suoi fratelli minori, Paolo.
Sabia ci racconta come, durante la malattia di Paolo, una stanza di casa era stata interamente adoperata per diventare il “porto sicuro” di tutta la famiglia. Qui giocavano, guardavano film o facevano merenda tutti insieme: un modo semplice ma perfetto per passare del tempo di qualità insieme a lui.
La stanza, anche dopo la sua morte, continua ad essere uno spazio da vivere con serenità, per lavorare comodamente sul letto, dipingere o fare un puzzle sul tavolo della creatività. Questo permette loro di sentire ancora la presenza di Paolo, non in modo doloroso, ma aiutandoli a sentire che il vuoto che lascia una perdita può diventare anche qualcosa che ti rende capace di sopportare il dolore.
La sua preziosa testimonianza è racchiusa nella prima puntata di L’unica cosa certa, il podcast di Chora Media in collaborazione con VIDAS.
Come ci dimostra la storia di Sabia, la relazione con gli oggetti di una persona defunta riflette il percorso unico e personale del lutto: ogni decisione su di essi – conservarli, trasformali, lasciarli andare – rappresenta un modo di affrontare la perdita.
Ripensare gli oggetti in una nuova veste, come la stanza di Paolo, diventa allora un passo verso l’accettazione e la riconciliazione con il passato.