di Giuseppe Ceretti
Il tempo non si misura mai in quantità, ma in intensità di passione del vissuto. A questo vien da pensare leggendo le ultime parole del bel libro dal titolo “Senza biglietto” del giornalista Andrea Rustichelli.
È, diciamolo subito, una vicenda a lieto fine. La sua educata penna, brillante e incisiva nell’immediatezza, si snoda entro un tracciato di rara sensibilità.
Narra del viaggio nel tumore, il suo tumore, che lo ha accompagnato da quando ha preso posto, suo malgrado, nella “carrozza 048”, ovvero il codice che il sistema sanitario assegna ai malati oncologici: “Volevo andare in Ucraina e mi sono ritrovato in un reparto d’ospedale per dei pesanti cicli di chemioterapia”.
Un itinerario carico di profonda empatia, soprattutto con i compagni di stanza e con gli operatori che ha incontrato dal primo giorno in cui è entrato nel recinto sociologico dei pazienti oncologici: “Mi sono trovato un paio di volte nella condizione di spiaggiato che non sa: sei in ospedale e passi le giornate guardando il soffitto in attesa di notizie… si relega la comunicazione medico-paziente a elemento accessorio, affidato alla sensibilità individuale, al buon carattere di un camice bianco”.
Non manca poi la critica senza concessioni alla retorica di “celebri guerrieri sconfitti dopo un’acerrima lotta”, mentre la materia richiederebbe sobrietà e assiduità nel trattare un tema carico di mille sfaccettature, di paure, di ribellioni, di umane debolezze.
Il cammino dentro il male è un viaggio in bianco e nero, cadenzato dalla violenza del corpo che si rivolta contro sé stesso.
Poi, dentro le stanze degli ospedali, si snodano le storie, i profili indimenticabili che lasciano in Andrea tracce indelebili: Marco e le sue “mani tese alla ricerca di abbandono”; Mario, il geometra tuttofare e altri ancora con i quali si crea “una fratellanza di organi impazziti, di asportazioni e di bombardamenti a suon di chemio”.
Conversazioni prive dei freni inibitori che agiscono nel mondo dei sani e narrate con delicatezza e pari sensibilità, ricche di una carica di profonda empatia: “Alla volontà di potenza che trasforma la malattia nel nostro fallimento, preferisco l’elogio dell’impotenza. Un atto di umiltà che, fuori da ogni senso di colpa, diventa accettazione della fragilità e auspicio”.
Infine l’intervento, meglio “il parto doloroso” come lo chiama Andrea, sino al momento di definitiva separazione “dall’embrione distruttivo e vorace”.
Il grande enigma non è risolto, ma è tempo di accettare la sorte benigna e di lasciarlo “senza rancore o paura”.
Andrea Rustichelli
Senza biglietto
Viaggio nella carrozza 048
Marlin editore