Meglio soli che male accompagnati, recita un vecchio detto. Pensato da qualcuno che la solitudine vera, certamente, non sapeva cosa fosse. Di certo nonna Ester non la pensava alla stessa maniera, dato che per sfuggirvi si è inventata nientemeno che una rapina.
Lunedì mattina alle 9 arriva al centralino del 113 una telefonata in cui un’anziana signora lamenta di essere stata legata e rapinata. Una pattuglia accorre prontamente ma subito si capisce che c’è qualcosa di strano: è la signora Ester ad accogliere gli agenti, col vestito della festa in ordine e la messa in piega.
Come ben appunta Gramellini sul Corriere: “Gli agenti capiscono subito che la donna sta mentendo, ma anziché andarsene a fare rapporto, compiono qualcosa di rivoluzionario: la stanno a sentire”. E così nonna Ester racconta la sua solitudine e il gesto estremo di inventare una rapina per ricevere l’attenzione di una visita. Non restano indifferenti, i poliziotti: la portano a fare una passeggiata, a fare colazione e poi in chiesa, dove l’affidano alle cure del parroco che promette di trovarle presto compagnia.
La signora Ester (di cui potete leggere l’intera vicenda qui) vive a Napoli, ma tante sono le storie come la sua che incontriamo nei nostri continui peregrinaggi di casa in casa durante le assistenze. E la solitudine si fa sentire ancora più forte quando, d’estate, le città si svuotano. Lo racconta bene Sonia Ambroset, psicologa Vidas:
Era la prima volta che rimanevo a Milano tutto il mese di agosto, avevo dato la mia disponibilità consapevole di affrontare un mese complicato. Ricordo perfettamente il giorno, era il 12 agosto.
Mario aveva chiesto di incontrarmi. Arrivata dall’altra parte della città deserta e caldissima, mi accolse sua cugina, provata dalla fatica dell’assistenza che non poteva più reggere.
Mario si è presentato e la mia attenzione si è posata sulle decine di foto incorniciate sul comò. Lui e sua moglie dovevano proprio aver girato il mondo insieme, perché ogni foto era stata scattata in un posto diverso.
Cogliendo il mio sguardo, Mario cominciò subito a raccontarmi del loro viaggio a Parigi, nel 1964.
Attraverso i suoi ricordi così pieni di colore le giornate insieme si sono trasformate in splendidi viaggi, in luoghi sempre diversi e sempre bellissimi, lontani da quella camera e così anche la sua sofferenza sembrava diventare più lieve, poteva essere avvicinata con calma e intimità.
Dal mio incontro con Mario, che ho assistito per quasi 4 mesi, sono diventata ancora più consapevole dell’importanza del mio lavoro che durante l’estate acquista un significato particolare. Perché quando fa caldo e la città si svuota ci si può sentire ancora più soli di fronte alla malattia.
Ma gli operatori di Vidas ci sono, 365 giorno all’anno, come è giusto che sia.
Vidas c’è, anche d’estate, per colmare – come le ha definite Gramellini – “le voragini lasciate dall’implosione della famiglia e dalla latitanza dello Stato Sociale”.
Puoi aiutarci a garantire questa presenza costante con una donazione qui.