Anche se taluni incauti pretendono d’annegarla nel mare dei neologismi stranieri d’ogni specie, la lingua italiana è così ricca e varia che pare una tavola imbandita di ogni ben di dio. Tuttavia a volte accade che si diverta a giocare brutti scherzi. Accade a noi di Vidas che ci occupiamo di terminalità e facciamo parte della grande famiglia che si occupa di cure palliative. Perché la nostra assistenza si chiami così lo potete capire leggendo le righe nascoste sotto questo link. Ma se quel mantello da sostantivo diventa aggettivo, sia in senso sostanziale che figurato, la musica cambia. Si legge sul dizionario Devoto-Oli della lingua italiana alla voce palliativo:
Medicamento o terapia che si limita a combattere provvisoriamente i sintomi di una malattia. Figurato: di provvedimenti che non risolvono una difficoltà, ma ne allontanano per poco le conseguenze.
Allora a che serve tagliare quel pallium e coprire il seminudo che soffre se il fratello palliativo non ci dà speranze e sembra suggerirci che non ne valga la pena?
Ecco perché per noi di Vidas non è facile riassumere in poche parole il senso della nostra assistenza, come accade ad altre associazioni non profit assolutamente e parimenti benemerite. Se parli di lotta al cancro tutti ti capiscono, altrettanto se chiedi aiuto per curare un bimbo che soffre. La mano tesa alla terminalità richiede invece una riflessione meno istintiva. Si deve superare la domanda che nessuno osa fare di fronte a un malato senza speranza: a che serve? Serve perché ogni istante della nostra vita è un bene prezioso. Aiutare chi ti sta accanto a trascorrere questi istanti nel migliore dei modi possibili, offrendogli la libertà di decidere come e con chi, è un gesto che dà senso e pienezza anche alla tua vita.
Forse, come dice il dizionario, la cura palliativa allontana per poco le conseguenze, ma quel poco può essere così prezioso da farlo apparire un’eternità.
Un giorno di tanti anni fa, nelle conversazioni con quella straordinaria visionaria che è la presidente di Vidas, Giovanna Cavazzoni, mi capitò di chiederle: “Perché ti sei imbarcata in questa impresa?”.
La signora abbozzò un sorriso e rispose: “Per un elementare senso di giustizia”.
Non l’ho mai dimenticato ed è forse la vera ragione per la quale dopo oltre trent’anni, continuo a restare accanto a Vidas come volontario delle penna ed entrare in queste stanze mi fa sentire meglio.