I nostri volontari hanno un ruolo fondamentale nella attività che svolgiamo, sono parte integrante delle nostre équipe e un sostegno prezioso nella cura e nella relazione con i pazienti. Parallelamente sono anche la voce e il volto dell’Associazione durante i tanti eventi sul territorio, ad oggi purtroppo sospesi.
Pur non potendo impegnarsi sul campo in prima persona, anche a distanza la connessione con VIDAS rimane forte, perché forti sono i valori che ci uniscono e che ci fanno guardare al futuro.
Come ci scrive Manuela,
“In questi giorni di Coronavirus, non posso non pensare a tutti noi volontari Vidas a cui mi sento come mai unita nel cuore.
Questo virus viene a impattare proprio su un aspetto che per noi è essenziale e ci unisce al di là di ogni nostra personale diversità e motivazione: l’accompagnamento al morente.
Da una parte noi che abbiamo deciso di condividere l’ultimo tratto di percorso con i morenti abbiamo anche imparato la differenza che può fare la vicinanza, la condivisione, l’assistenza partecipata e non possiamo non sentire sulla nostra pelle l’angoscia e il dolore di chi in questo momento muore solo, lontano dagli affetti e dalla propria casa in un contesto altamente ospedalizzato.
O ancora penso alle residenze per anziani, ma anche alle carceri e agli isolamenti domiciliari, a tutte le situazioni emergenziali che comunque, oggi più che mai, ci mettono di fronte alla solitudine nel morire e nella malattia.
In questo momento così delicato vorrei pensare che sapremo guardare tutti al futuro sentendoci più che mai interconnessi con la consapevolezza che il nostro benessere non può prescindere dal benessere degli altri e da quello del pianeta che abitiamo.”
Il virus ci ha toccati direttamente, ma per fortuna è andato tutto bene come ci racconta sempre Monica, referente dei volontari:
“Permettetemi ma oggi sono felice! Uno dei miei ragazzi, chiamo così i volontari, è uscito dalla rianimazione dopo due settimane. Vorrei gridarlo ai quattro venti e lo faccio qui. Mi pare di brindare alla sua rinascita parlando di tutti i volontari, della voglia che hanno di tornare ad essere attivi, di quanto cerchino di inventarsi modalità per rendersi utili. Li abbiamo lasciati a casa come gli studenti, abbiamo tutti perso il conto dei giorni, sono tutti così uguali. Li sentiamo al telefono, inviamo foto dei colleghi al lavoro, li vediamo su zoom: come una mamma li trovo tutti così belli. Belli perché sono disponibili, perché non vedono l’ora di tornare. Sanno che è troppo presto e che per ora il loro essere volontari si può tradurre solo nello stare a casa ma a volte fanno fatica. Non sappiamo quando torneremo a vederli lungo i corridoi di casa Vidas, con i bimbi in CSB, nelle case, anime del long day. Intanto, li teniamo impegnati: la nostra direttrice sociosanitaria Giada Lonati ci ha proposto un progetto speciale, confezionare dei sacchetti in tessuto in cui riporre gli effetti personali dei pazienti: le ultime cose che sono state toccate, amate… Un pezzo di una vita che non c’è più e proprio per questo va riposto con estrema cura e attenzione e reso al familiare in modo più personale memori dell’attenzione e della cura che dobbiamo sempre avere per i nostri pazienti per le loro famiglie. I volontari hanno risposto entusiasti all’appello e stanno producendo, assoldando anche parenti e amici, rigorosamente in remoto.”
Il tempo che viviamo oggi isolati ci regala la possibilità di riflettere sulla nostra condizione individuale e sul perché delle scelte che abbiamo fatto nella vita, come quella di Giovanni di essere un volontario di VIDAS:
“Sono ormai diverse settimane che viviamo questo spazio e questo tempo così particolari. Chissà come immaginavamo le diverse fatiche, a cosa pensavamo, come ci prefiggevamo di abitare questa lunga attesa fatta soprattutto di lontananze. Non credo naturalmente esista una sola risposta, ma tante risposte quante sono le singole persone.
Tra le molte riflessioni che si sono affacciate alla mia mente, una in particolare ricorre assai di frequente: la difficoltà di stare lontano dalla mia attività di volontario. Ne sento chiaramente il peso, così ho cercato di comprenderne più a fondo i motivi. Mi è venuto in aiuto un libro bellissimo di Luigina Mortari, Filosofia della cura. Le sollecitazioni che offre sono davvero infinite, ma il punto centrale è che chiarisce come la cura rientri nell’ordine delle cose essenziali, risponda quasi a una necessità vitale. Per usare le sue parole, diventa una “straordinaria ordinarietà”, una reciproca “bisognosità dell’altro”, insomma si fa parte strutturante e imprescindibile del nostro modo di essere.
Mi sono detto: ecco, è venuto meno un tassello fondante, tra l’altro proprio quando la fragilità dei soggetti più deboli si fa sentire con una forza dirompente e quindi con la sua esigenza di cura. In un certo senso sono contento di poter constatare quanto mi manchi: non è un paradosso, vuole essere solo – se mai ce ne fosse bisogno – un’ulteriore conferma di come la possibilità di condividere tempo, spazio, emozioni, gioie e dolori con tutti coloro i quali mi sono stati vicini in questa esperienza così ricca, sia qualcosa di particolarmente bello e importante. E di come, nel mio piccolo, abbia fatto la scelta giusta nel voler intraprendere questa strada.”