di Emanuela Lucchi
Infermiera a domicilio
“Tu sei una persona di quelle che si incontrano quando la vita decide di farti un regalo” (Charles Dickens).
Ecco, ho sempre pensato che, qualora avessi trovato il coraggio di scrivere di Aicha, avrei iniziato con questa frase e proprio oggi [9 gennaio, ndr] il “calendario filosofico” me la propone, quasi a spronarmi a dare seguito alle ripetute richieste, fuori e dentro di me, di raccontarla.
Incontrare Aicha, nell’aprile 2023, è stato anzitutto un onore. Aicha era una donna meravigliosa e una vera maestra di vita. Nata nel 1981, era forte, determinata, buona e accogliente. Una leonessa arrivata in Italia dal Marocco una decina di anni prima, era partita lasciandosi alle spalle un marito che apostrofava come “cattivo” e due figli amatissimi, che non vedeva l’ora potessero raggiungerla.
Arrivata a bordo di un barcone che imbarcava tanta acqua, ricordava di aver tenuto stretto al seno un neonato per tutto il viaggio per cercare di portarlo in salvo. Dalla Sicilia era poi approdata in un piccolo paese dell’hinterland milanese, dove, con forza e determinazione, si era ricostruita una vita. Un nuovo lavoro (in Marocco gestiva un hammam, si era reinventata parrucchiera), un nuovo matrimonio (con un uomo “buono”, stavolta) e due “nuovi” figli, gemelli – due monelli che presenziavano a tutte le visite.
La diagnosi di tumore all’utero era del 2021 e nel tempo aveva attaccato vescica e intestino, minando crudelmente la sua femminilità e bellezza. Aicha era tuttavia una donna molto credente e anche in questo mi è stata maestra: ha saputo ringraziare per ogni cosa ricevuta nella sua vita, persino per la malattia, che – ripeteva spesso – le aveva offerto la possibilità di ricongiungersi ai figli lontani e le aveva dato l’occasione di conoscerci. Difficile darle torto, quando, mesi dopo la presa in cura, ci definiva non più dottoressa e infermiera ma delle sorelle. Appunto. Un onore entrare a far parte di una Storia così.
Allo stesso tempo, incontrare Aicha è stato anche oneroso. Per chiunque sia entrato nella sua casa come curante, medico (Francesca in primis, e Laura), infermiere (la sottoscritta, con Paolo e Giada), psicologa (Elisa!) che fosse. Aicha era travolgente, nel bene e nel male. Era l’incarnazione del principio di autodeterminazione e metteva a soqquadro ogni nostra intenzione clinica, terapeutica, organizzativa. Difficile trovarla in casa quando stava bene, incurante degli appuntamenti. Faceva sempre di testa sua. Lungo il nostro anno e mezzo è stato impegnativo accompagnarla e adsisterla standole accanto e mantenendo la ‘giusta distanza’.
L’assistenza era una prova anche per il corpo. Non c’era modo di uscire da quella casa a stomaco vuoto: un pezzo di torta, un bicchiere di succo o, se capitava, un piattone di couscous da condividere. A guardarli ora, in effetti, mi sembrano piuttosto lievi… Aicha è morta in hospice una sera dei primi di dicembre: Francesca ed io ci siamo strette alla sua figlia Basma cercando di esserci fino all’ultimo, come lei ci ha sempre chiesto.
Grazie Aicha. Che gli angeli del cielo abbiano Cura di te e dei tuoi.
Questo articolo è tratto dal Notizario “Insieme a VIDAS”.
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