Parlare di alimentazione nel fine vita vuol dire approcciarsi ad una tematica molto delicata e complessa, che coinvolge una serie di fattori legati all’affettività, ai ricordi, alle emozioni, al passaggio dalla vita alla morte, ma anche al senso della propria dignità. Nella nostra cultura cibo è sinonimo di vita, di piacere e di condivisione, risulta quindi evidente come questo argomento nell’ambito delle cure palliative vada affrontato con molta attenzione per i risvolti nutrizionali e psicologici che determina. Proprio per comprenderne appieno la complessità, abbiamo chiesto a due professioniste di VIDAS di parlarci dell’alimentazione dei malati inguaribili dai loro diversi ma complementari punti di vista: Sonia Mendes, dietista VIDAS, ci spiega la gestione del cibo a livello nutrizionale nelle diverse fasi della malattia, mentre Francesca Brandolini, Responsabile Area Psicologica, ne scandaglia gli aspetti più emotivi e relazionali.
L’approccio delle cure palliative prevede una presa in carico globale del corpo, della mente e dello spirito del malato e comprende il supporto attivo alla famiglia; la gestione del paziente a 360 gradi include quindi anche l’alimentazione, che riveste un ruolo fondamentale nella vita di tutti noi, compresa quella dei malati inguaribili.
Alimentare un malato inguaribile non significa solo “dargli da mangiare”, ma implica anche una serie di aspetti non meno importanti, quali il miglioramento della sua qualità di vita, il controllo dei sintomi e l’educazione alimentare dei suoi familiari o caregiver. La nostra dietista Sonia ci spiega meglio:
“L’alimentazione non è solo nutrimento, ma anche piacere e conforto. Un buon stato nutrizionale contribuisce a migliorare la qualità della vita del paziente. La gestione dell’alimentazione del malato dovrebbe includere delle strategie per facilitare il controllo dei sintomi e del dolore, oltre che a evitare la malnutrizione per difetto, che è spesso presente in questi pazienti. Per il mantenimento dello stato nutrizionale si possono anche usare alimenti fortificati e/o supplementi nutrizionali. Inoltre, è importante coinvolgere i familiari e i caregiver nella gestione della terapia dietetica attraverso formazione e educazione alimentare”.
Alimentazione, nutrizione e idratazione sono parte integrante della gestione del paziente sia in fase precoce sia in fase avanzata di malattia, in particolar modo quando la terapia prevede il ricorso a cure palliative o terapie del dolore. La perdita di appetito è comune con il progredire della malattia, causata per esempio da nausea, vomito, ansia e diminuzione dell’apporto alimentare. È fondamentale intervenire dal punto di vista nutrizionale e dietetico in modo da evitare la malnutrizione e gestire le problematiche legate alla malattia che possono influire sullo stato nutrizionale del paziente.
Sonia entra ancora più nel dettaglio delle differenze di alimentazione nelle varie fasi della malattia:
“Con il progredire della malattia può arrivare il momento in cui il paziente non è più in grado di alimentarsi ed idratarsi in modo adeguato. Una soluzione può essere l’utilizzo della Nutrizione Artificiale (NA), che consente al paziente di acquisire i nutrienti di cui ha bisogno, attraverso un sondino naso-gastrico o per via endovenosa. La NA può integrare l’alimentazione per bocca fino a quando è possibile oppure essere usata esclusivamente. Nella gestione terapeutica del paziente mantenere una buona alimentazione e un’idonea idratazione, intervenire precocemente con le aggiunte necessarie, apportare le opportune modifiche per mantenere adeguato l’apporto calorico, proteico e idrico aiuterà il paziente ad affrontare nel modo migliore la progressione della malattia”.
Se l’aspetto nutrizionale è importante, lo è ancor di più quello psicologico. La parola “cibo” è composta da solo quattro lettere, eppure raccoglie in sé una miriade di significati diversi:
Tutto questo è ancor più vero nella nostra cultura mediterranea, profondamente intrisa di tradizioni culinarie, in cui la convivialità a tavola è da sempre cifra distintiva riconosciuta in tutto il mondo. Non è difficile comprendere dunque come questa multidimensionalità possa essere messa profondamente in crisi dalla malattia, che gradualmente allontana il malato da tutto ciò che è terreno, incluso il desiderio di alimentarsi. La perdita di appetito e del piacere di condividere il momento dei pasti viene vissuta in maniera molto angosciante soprattutto dai familiari, che riconoscono in questi comportamenti l’avanzare ineluttabile della morte.
Francesca Brandolini, Responsabile Area Psicologica VIDAS, ce ne dà testimonianza:
“Durante le nostre assistenze ci capita sovente di raccogliere lo sconforto dei pazienti, che nel loro non riuscire più a nutrirsi come prima si sentono privati di una parte essenziale della propria identità relazionale, ma ancor più dei parenti, che interpretano la progressiva diminuzione dell’appetito come il segno ineluttabile della malattia che avanza e spesso si sentono in dovere di tentare il tutto e per tutto pur di non far “morire di fame” il loro caro, chiedendo magari all’équipe curante di intervenire con alimentazione e idratazione artificiale, anche in situazioni in cui quelle pratiche non hanno alcun senso clinico”.
In questo contesto, gli psicologi hanno il ruolo fondamentale di accogliere e comprendere quella fatica e quel dolore, mettendosi nei panni di quel paziente e di quei familiari, per poi accompagnarli nella graduale consapevolezza di ciò che sta accadendo, anche se si tratta di un processo emotivamente impegnativo. Allo stesso tempo, è possibile aiutare le famiglie ad attingere alla loro storia e alle loro tradizioni per individuare nuove modalità di stare insieme, che non passino necessariamente attraverso la condivisione delle stesse pietanze, ma magari attraverso la valorizzazione dei ricordi, la riconoscenza reciproca, l’individuazione di nuove strategie che permettano il recupero di un’identità offesa dalla malattia, ma non per questo assente. Una persona che non può più alimentarsi come prima e che si avvicina alla fine della propria esistenza ha bisogno di essere aiutata a riconoscere che tutto il buono e il bene che c’è stato, e che è passato anche attraverso la condivisione della tavola, resterà un patrimonio incancellabile.
Infine, Francesca condivide con noi il ricordo di una paziente e di come il cibo abbia rappresentato in quell’occasione un anello di congiunzione importante tra la vita e la morte:
“Porterò sempre nel cuore il ricordo della signora Milena che alcuni anni fa, sapendo che avevo due bambine, in occasione di uno dei nostri ultimi colloqui mi fece trovare un piccolo taccuino su cui aveva ricopiato con bella grafia una dozzina di ricette dolci: erano le sue ricette del cuore, quelle con cui tanti anni prima aveva cresciuto i suoi figli, e che ora consegnava a me affinché non finissero con lei ma continuassero a rendere felici altri bambini”.