In precedenza abbiamo affrontato l’argomento delle cure palliative in relazione a diverse malattie inguaribili: Sla, Alzheimer, Parkinson, Sclerosi multipla, HIV. In questo articolo, invece, trattiamo le malattie renali. In particolare, vediamo che cos’è la nefropatia, una patologia che colpisce circa 3,5 milioni di persone in Italia, affermandosi come una delle prime cause di morte nel nostro Paese. Capiamo dunque quali sono le cause, i sintomi e le terapie, oltre che il rapporto della nefropatia con le cure palliative. A tal proposito, fondamentale il contributo di Claudio Piovesan, medico palliativista di Vidas.
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Con il termine nefropatia ci si riferisce all’insieme delle patologie e dei disturbi che possono colpire e recare danni ai reni. In linea generale possiamo suddividere le nefropatie in due gruppi: quelle di origine infiammatoria (ossia le nefriti) e quelle non infiammatorie (ossia le nefrosi). Inoltre, le varie nefropatie specifiche si distinguono a seconda della parte anatomica renale affetta dalla malattia (glomerulo, tubulo, interstizio renale o vasi sanguigni) o sulla base dell’agente causale (le più frequenti sono la nefropatia diabetica, da farmaci o da immunocomplessi).
Con il passare degli anni il numero dei soggetti nefropatici in Italia cresce sempre di più. Le cause riconducibili a questo incremento possono essere svariate: dall’invecchiamento della popolazione e la fisiologica riduzione della funzione renale con l’avanzare dell’età, all’aumento del rischio di manifestare un danno renale dato dalle condizioni cliniche e dagli stili di vita di oggi (quali ad esempio il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa, l’obesità o il fumo di sigaretta). Infine, anche la maggiore attenzione alla diagnosi di tale patologia rispetto al passato, comporta chiaramente il riscontro di un maggior numero di casi in stadi iniziali.
La malattia renale cronica (MRC) è stata suddivisa in 5 stadi progressivi, associati a una crescente riduzione del filtrato glomerulare. Il primo solitamente non presenta sintomi, il secondo può comportare una riduzione del volume delle urine rispetto all’età e al sesso, ma sono ancora possibili interventi di prevenzione primaria della MRC. Dal terzo stadio, invece, si parla di insufficienza renale cronica.
Il Dottor Claudio Piovesan spiega:
“Dal terzo stadio si parla di insufficienza renale cronica e si ha una progressione più rapida verso quadri di danno renale “end-stage”, laddove solo il trapianto renale e la dialisi costituiscono i trattamenti di prima scelta. Inoltre, amplifica il rischio di complicanze cardiovascolari.La malattia renale cronica inoltre è molto frequente in corso di patologie infettive o neoplastiche, aumentando la percentuale di eventi avversi e di invalidità”.
Quando i reni non funzionano correttamente, le sostanze di scarto tendono ad accumularsi nel sangue provocando uno stato di intossicazione e di squilibrio. Così, dal terzo stadio si iniziano a manifestare determinati sintomi importanti, quali: malnutrizione, dolore alle ossa, difficoltà di concentrazione, formicolio o intorpidimento dei nervi, anemia, iperparatiroidismo e acidosi. Nel quarto e quinto stadio, invece, si inizia ad avvertire una generica riduzione della resistenza e della forza fisica, con maggiore sonnolenza e affaticabilità.
Altri sintomi comuni possono essere: ritenzione idrica con edemi soprattutto declivi, aumento della pressione arteriosa, prurito diffuso, nausea e vomito, riduzione delle difese immunitarie. Nei casi più gravi, poi: dispnea (difficoltà respiratoria per accumulo di liquidi nei polmoni), confusione mentale, convulsioni e coma.
Effettuando degli specifici esami di laboratorio sarà possibile notare alcuni indizi, quali: aumento dei livelli di potassio nel sangue, anemia, riduzione della velocità di filtrazione glomerulare, proteinuria (proteine nelle urine), alterazioni del sedimento urinario.
Ad oggi non esiste una cura per guarire dall’insufficienza renale cronica. Tuttavia, una corretta terapia specifica può rallentarne o impedirne il peggioramento. Fondamentale anche l’adozione di alcune modifiche radicali nello stile di vita, in particolare la dieta, l’esercizio fisico, lo smettere di fumare, il perdere peso e l’evitare gli antinfiammatori. La dieta alimentare, in particolare, gioca un ruolo importantissimo. È dunque necessario ridurre il sale, le proteine, i cibi ad alto contenuto di potassio o fosforo, e l’alcool.
Come spesso accade in tutte le malattie inguaribili, anche per quanto riguarda l’insufficienza renale e le altre nefropatie è possibile ricorrere alle cure palliative. Ma come e quando? E quali sono i benefici delle cure palliative per i malati nefropatici? Di seguito le parole del Dottor Claudio Piovesan.
“Il paziente nefropatico costituisce il tipico esempio di cronicità della malattia che richiede un approccio multidisciplinare e una strutturazione dei processi di cura. Questo perché si devono gestire eventi acuti sovrapposti e sorvegliare i soggetti con declino della funzione renale più rapido, in presenza di un maggiore numero di copatologie. In particolare, tali soggetti nefropatici fragili possono beneficiare dell’assistenza domiciliare di cure palliative già nelle fasi di malattia renale avanzata (stadio III-IV). Si attua un’assistenza integrata tra territorio e ospedale, in collaborazione con l’équipe nefrologica di riferimento. Si aggiunge uno stretto monitoraggio dei malati nefropatici in fase avanzata e suscettibili di un’evoluzione negativa verso lo stadio finale (uremia terminale, stadio V). L’assistenza domiciliare di cure palliative permette la gestione ottimale dei sintomi caratteristici della fase terminale della malattia, al proprio domicilio o in regime di ricovero in Hospice, fino all’exitus”.
L’assistenza in cure palliative nei soggetti nefropatici ha come primi obiettivi quelli di garantire la migliore qualità di vita e di prevenire le maggiori complicanze che, senza assistenza, porterebbero a un succedersi di ricoveri ospedalieri. Viceversa, di fronte alla nefropatia terminale che esclude trattamenti causali, ossia qualora non sia possibile il trapianto renale o risulti controindicato (o non proseguibile) il trattamento sostitutivo dialitico, l’assistenza domiciliare in cure palliative permette una gestione ottimale dei sintomi e il supporto ai familiari.
Il Dottore aggiunge:
“Risulta fondamentale la collaborazione tra lo specialista nefrologo che individua i casi più fragili e suscettibili di un possibile peggioramento e l’equipe di cure palliative, fin dal primo colloquio con i familiari sulle finalità e modalità dell’assistenza domiciliare. Un aspetto molto delicato che richiede la collaborazione di entrambe le équipe è la comunicazione della sospensione del trattamento dialitico in corso, quando questo non viene più tollerato per lo scadimento delle condizioni cliniche, trattandosi di una terapia salvavita la cui interruzione porta nel breve-medio termine alla morte. Talvolta, invece, è stato lo stesso paziente a scegliere consapevolmente di non proseguire il trattamento dialitico, ritenuto troppo invasivo sulla qualità di vita residua, con necessità quindi di uno stretto monitoraggio da parte del palliativista.
VIDAS collabora con diversi servizi di nefrologia nel proprio territorio di competenza. In particolare, da oltre sei anni c’è una stretta collaborazione con l’Unità Operativa di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliera Santi Paolo e Carlo di Milano, con attività di consulenza di cure palliative per pazienti ambulatoriali o ricoverati, discussione collegiale sui casi meritevoli di assistenza di cure palliative o ricovero in Hospice, colloquio coi familiari per la presa in carico di cure palliative presso il reparto di Nefrologia”.
L’esperienza di VIDAS nell’assistenza in cure palliative ai malati di nefropatie conta diverse decine di pazienti assistiti. Il dottore qui ci racconta un caso in particolare, quello di Franco: un giovane uomo in emodialisi affetto da una malattia renale di lunga data e altre patologie (tra cui una vasculopatia che aveva compromesso il circolo sanguigno agli arti inferiori), con alle spalle – inoltre – un trapianto di rene fallito. In seguito alla comparsa di una necrosi vascolare si era già dovuto procedere all’amputazione della gamba destra, ma nel corso dell’assistenza comparse la necrosi anche all’arto inferiore sinistro.
“I familiari ed il paziente, tutti operatori sanitari, consapevoli della gravità del quadro clinico, peraltro complicato dalla persistenza di uno stato infettivo e di una malnutrizione calorico-proteica grave per cui si era resa necessaria una supplementazione nutrizionale intradialitica, avevano rifiutato l’amputazione a sinistra. Nonostante tutti gli sforzi profusi, le terapie antibiotiche, le medicazioni delle aree necrotiche e la nutrizione artificiale, le condizioni cliniche del paziente sono progressivamente peggiorate, risultando sempre meno tollerata ed efficace l’emodialisi.Durante l’assistenza domiciliare ci si è confrontati ripetutamente con i colleghi nefrologi, per concordare un approccio condiviso, e dal confronto coi familiari – inizialmente con aspettative sopravvalutate di miglioramento – è stata fatta propria l’inutilità di proseguire oltre il supporto dialitico. Ci si è così ritrovati tutti insieme, nefrologi, palliativisti e familiari, per condividere la decisione di non proseguire più l’emodialisi, l’assistenza è quindi proseguita al domicilio, gestendo i sintomi associati alla fase terminale, fino al decesso del paziente avvenuto al proprio domicilio attorniato dai familiari”.