Ricevere una diagnosi di malattia inguaribile rappresenta sempre un evento traumatico e sconvolgente, non solo per il paziente, ma anche per i suoi familiari. In particolare, una malattia cronica e degenerativa comporta spesso la prospettiva di un esito negativo impattando in modo devastante sul progetto esistenziale di una persona. Questo tipo di diagnosi richiede un profondo cambiamento organizzativo nella vita personale, lavorativa e familiare, oltre a una revisione delle abitudini e delle aspettative future. Tutto ciò può avere significative conseguenze anche a livello psicologico. Oggi, grazie al contributo della dottoressa Francesca Brandolini, Responsabile del Servizio Psicologia di VIDAS, vi parliamo dei risvolti emotivi e delle ricadute psicologiche, sia per il paziente che per i familiari, a seguito di una diagnosi di malattia grave.
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Ricevere una diagnosi di malattia rappresenta un vero e proprio lutto da elaborare per la persona, che si trova a dover fare i conti con la perdita della salute, dell’autonomia e di alcuni elementi fondamentali della propria vita. In questi casi, il modello Kübler-Ross ideato negli anni ’60 e ’70 continua a essere attuale, poiché descrive e schematizza le fasi del lutto in cinque stadi:
“Di fronte a una diagnosi si ha innanzitutto una reazione di shock, di congelamento, quindi di incredulità. Poi subentra la rabbia e a seguire lo scendere a patti. Come a dire: “Ok, ho capito che non invecchierò con mia moglie, ma che almeno io possa vedere la laurea di mia figlia che si è appena iscritta all’università”. C’è una sorta di patteggiamento con la vita, con la malattia, con Dio – o qualunque sia la risorsa a cui si desidera attingere. Si prosegue poi con una fase fisiologica di depressione in cui ci si accorge che, ahimè, è proprio così. Vi è infine una fase di rassegnazione, che non sempre si raggiunge”.
La malattia grave, infatti, rappresenta proprio un attacco all’identità delle persone, poiché implica la progressiva perdita di autonomia e la necessità di rivedere la propria quotidianità, con la conseguenza di non poter più vivere a pieno alcuni aspetti della propria vita che hanno contribuito alla costruzione della propria identità.
La diagnosi di una malattia grave può avere molteplici ricadute psicologiche sia sul paziente sia sui familiari. Di seguito vi descriviamo alcune delle principali possibili conseguenze psicologiche derivanti da un’informazione di tale portata. La complessità di queste ricadute può variare di caso in caso, a seconda di diversi fattori: il tipo di malattia, la durata della malattia, il supporto familiare e medico che il paziente riceve durante il percorso di cura.
La diagnosi di una malattia grave può causare ansia, paura e depressione sia nel paziente sia nei familiari. Queste emozioni possono persistere durante tutto il percorso di cura e anche dopo la guarigione. In alcuni casi, potrebbe essere necessario il supporto di uno psicologo o di un terapeuta per affrontare questi problemi.
L’ansia e la preoccupazione possono interferire con il sonno, causando insonnia, difficoltà ad addormentarsi o a rimanere addormentati. Inoltre, i pazienti che devono subire trattamenti medici o interventi chirurgici potrebbero essere costretti a dormire in posizioni scomode o in ambienti rumorosi e sconosciuti.
La malattia grave può influenzare l’umore e la personalità del paziente o dei familiari. Alcune persone possono diventare più irritabili, altre potrebbero chiudersi in se stesse o diventare più tristi. Inoltre, i pazienti potrebbero perdere la propria indipendenza, il che può causare frustrazione e rabbia.
La malattia grave può causare tensioni nelle relazioni familiari, specialmente se la persona malata ha bisogno di cure intensive o di assistenza continua. La malattia, inoltre, può causare un carico emotivo ed economico sui familiari che potrebbe portare a conflitti.
I pazienti con malattie gravi potrebbero avere effettive difficoltà a mangiare o digerire il cibo, potrebbero perdere l’appetito o avere problemi di digestione, potrebbero mangiare troppo o troppo poco. Altre volte, invece, si assiste a una vera e propria perdita di interesse nei confronti del cibo, dunque di natura psicologica. L’alimentazione nel fine vita è infatti una tematica molto delicata e complessa, che coinvolge una serie di fattori legati all’affettività, ai ricordi, alle emozioni, al passaggio dalla vita alla morte, ma anche al senso della propria dignità. Nella nostra cultura cibo è sinonimo di vita, di piacere e di condivisione e la perdita di interesse verso questo, comporta spesso delle ricadute sulla quotidianità. La perdita di appetito e del piacere di condividere il momento dei pasti viene vissuta in maniera molto angosciante anche dai familiari, che riconoscono in questi comportamenti l’avanzare ineluttabile della morte.
Alcune malattie gravi possono causare disturbi cognitivi, come la confusione mentale o la perdita della memoria. In alcuni casi, questi problemi potrebbero essere temporanei, ma in altri casi potrebbero persistere per tutto il tempo della malattia.
In caso di una diagnosi di malattia grave, è spesso necessario il supporto di un professionista per affrontare i risvolti emotivi e le ricadute psicologiche. L’obiettivo è quello di sostenere il paziente e i suoi familiari nei momenti più difficili, offrendo trattamenti specifici in cure palliative per migliorare la qualità della vita nell’ultimo tratto e arginare i sintomi di sofferenza, oltre che favorire il percorso di accettazione e di aderenza alle strategie terapeutiche e di cura.
“Questo fa parte della “meraviglia” del nostro lavoro: la possibilità di offrire l’opportunità di vivere pienamente il tempo della malattia facilitando, proprio attraverso la cura degli aspetti anche comunicativi, le relazioni all’interno della famiglia. Il tempo della malattia può essere davvero un tempo preziosissimo per la persona che, sapendo di avere un tempo limitato – compatibilmente con la propria condizione fisica – ha la possibilità di fare tutta una serie di cose che ancora può fare e che non è il caso rimandare”.
La dottoressa continua:
“Questo tempo può anche essere l’occasione per riconoscere tutto il buono che c’è stato, quanto l’altro è stato importante nel percorso che si è fatto insieme. Tempo fondamentale anche per predisporre alcune cose, ragionare insieme a chi rimarrà su come gli altri possono andare avanti. La vita è vita fino all’ultimo istante e quindi si può essere protagonisti della propria vita anche nel tempo residuo, un tempo che può essere riempito di cose belle da fare con le persone che amiamo, ma anche di decisioni da prendere. Un tempo che può farci il dono di aiutarci a capire che la vita va vissuta ogni giorno e nella maniera più piena possibile, con le priorità che ciascuno di noi stabilisce”.
Nonostante una malattia grave rappresenti una catastrofe, sia per il paziente sia per chi gli sta accanto, è una catastrofe dalla quale è possibile ricominciare. Chi rimane può ripartire stabilendo quali siano le cose più importanti da portare avanti. Mentre il paziente può ripartire decidendo lui stesso come mettere la firma alla propria vita fino alla fine. Grazie alle Direttive Anticipate di Trattamento (DAT), che consentono infatti di pianificare la propria cura e il proprio percorso di fine vita, è possibile decidere come mettere la firma sulla propria esistenza fino all’ultimo istante. Questo ci aiuta a comprendere che la vita va vissuta ogni giorno e nella maniera più piena possibile, con le priorità che ciascuno di noi stabilisce.
Ogni persona ha i suoi tempi e il suo modo di reagire all’elaborazione di un lutto, così come alla diagnosi di una malattia inguaribile. Per chi lo desidera e ne sente la necessità, VIDAS offre una serie di servizi di accompagnamento al lutto che si differenziano a seconda del beneficiario:
Per maggiori informazioni sui servizi di supporto al lutto di VIDAS è possibile scaricare la brochure informativa o contattare il numero 02.3008081.