Il servizio di assistenza ai malati inguaribili di VIDAS è possibile grazie al lavoro di sette équipe multidisciplinari, operative sia in hospice sia a domicilio, con il compito di rispondere a tutti i bisogni psicofisici del paziente e del suo nucleo familiare. Ogni équipe è composta da diverse figure professionali sociosanitarie, specializzate in vari ambiti di assistenza: il medico palliativista, l’infermiere, l’operatore di igiene, l’assistente sociale, lo psicologo, il fisioterapista, il terapista occupazionale, il logopedista, l’educatore e il volontario. Dal 2022 abbiamo aggiunto un nuovo membro nelle nostre équipe: l’assistente spirituale. Grazie al contributo di Caterina Giavotto, assistente spirituale in VIDAS, cerchiamo di capire di cosa si occupa questa figura, quali sono gli obiettivi del suo lavoro, come si diventa assistente spirituale e il suo ruolo in relazione alle cure palliative.
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Un assistente spirituale è una persona che si occupa di riconoscere e accogliere i bisogni spirituali di pazienti e famiglia per offrire loro un accompagnamento che tenga conto anche della dimensione interiore/spirituale. E che si occupa anche di aiutare i membri dell’équipe a riconoscere tali bisogni nei pazienti e in sé stessi. Questa figura può fornire perciò supporto emotivo e spirituale, e aiutare le persone a coltivare la propria dimensione nei momenti difficili, in particolare durante la malattia e nel fine vita. Gli assistenti spirituali possono lavorare in contesti come chiese, centri spirituali, cliniche o privati. Tuttavia, è importante notare che gli assistenti spirituali non sostituiscono i medici o gli psicologi qualificati, e non offrono trattamenti medici o psicologici.
Di seguito le parole di Caterina Giavotto in merito al ruolo di questa figura in VIDAS:
“L’assistente spirituale è una figura nuova all’interno dell’équipe di cure palliative ed è una figura che ha il compito di prendersi cura dei bisogni spirituali di pazienti e famiglie e, contemporaneamente, favorire da parte degli operatori sociosanitari dell’équipe l’osservazione, quindi il sapere rilevare loro stessi, i bisogni spirituali dei pazienti e dei parenti per poi eventualmente segnalarli all’assistente spirituale”.
Prima di capire quali sono le attività svolte dall’assistente spirituale, è bene chiarire cosa si intende per “bisogni spirituali”. Si tratta di un concetto che rientra in quel dolore totale di cui parlava già Cecily Saunders negli anni Sessanta: il dolore che investe una persona nel fine vita e che comprende diverse dimensioni, da quella fisica a quella psicologica, emotiva, sociale e anche spirituale. Ecco perché in questa fase della vita è di fondamentale importanza prendersi cura anche dei bisogni spirituali:
“Fanno parte di quella ricerca di senso – senso della vita, della morte, della malattia – che tutti noi abbiamo dentro potenzialmente e generalmente nel momento di difficoltà, non solo del fine vita ma anche della malattia, si manifesta in modo più prepotente. È importante avere delle figure che sappiano prendersi cura di questi bisogni nel momento in cui emergono”.
Con il termine “spirituali”, dunque, non intendiamo solo – e a volte addirittura per niente – un percorso collegato a una particolare fede religiosa. Intendiamo invece una dimensione interiore propria di qualsiasi essere umano, collegata a quel sistema di valori che danno direzione alla nostra vita, per arrivare poi a una dimensione a volte collegata anche a una fede religiosa e infine collegata alla trascendenza, qualcosa più grande di noi.
Quali sono, dunque, gli obiettivi dell’assistente spirituale?
“L’obiettivo dell’assistente spirituale è quello di rilevare la presenza di bisogni spirituali (nei pazienti e nei familiari) e prendersene cura, proponendo dei percorsi o singoli incontri di accompagnamento spirituale, facendo ricorso a degli strumenti specifici quali ascolto, meditazione e visualizzazioni. Altro obiettivo dell’assistente spirituale è prendersi cura dell’équipe: stando giorno e notte a contatto con pazienti e parenti, gli operatori devono avere gli strumenti per poter rilevare i bisogni spirituali. Per di più, se un operatore non sta bene con sé stesso e non ha mai frequentato la sua dimensione interiore, difficilmente potrà essere a suo agio con una persona che sta molto male e questo disagio andrà a discapito sia del paziente sia dell’operatore sanitario”.
Una delle attività dell’assistente spirituale con gli operatori sociosanitari e i volontari si svolge sotto forma di cicli di incontri in merito alla spiritualità in senso lato.
“In questi incontri si parte sempre da sé stessi, dal guardarsi dentro, dalla meditazione, dalla propria vita, dai propri sospesi, perché è solo partendo da noi che possiamo poi rivolgerci agli altri. La riflessione principale che è utile in questa professione è quella sulla propria natura mortale. Tutti sappiamo di essere mortali, ma un conto è saperlo nella testa, un conto è saperlo nel cuore. Metabolizzare questa verità ci aiuta in questa professione, ci aiuta ad aprirci veramente nei confronti di un paziente”.
Appurato che l’assistenza spirituale può rappresentare un elemento fondamentale per il benessere del paziente durante il suo ultimo tratto di vita, poiché l’aspetto spirituale può avere un ruolo importante nell’elaborazione del dolore e nella ricerca di pace interiore, cerchiamo di chiarire meglio la relazione di questa con le esigenze religiose dei pazienti. Se il paziente che sta affrontando la fine della sua vita appartiene a una specifica religione, infatti, è importante rispettare e supportare le sue esigenze spirituali e religiose. In questo caso, l’assistente spirituale potrebbe dunque collaborare con un rappresentante religioso esterno, come un prete, un rabbino o un imam, per fornire il supporto spirituale necessario.
“Se mi capitasse che una persona mi chiedesse contatto con un imam o con un rabbino, asseconderei immediatamente il suo volere. Generalmente, però, è più facile raccogliere questo tipo di richiesta da qualcuno di fede cattolica e cristiana, che chiede magari un consulto con il prete della propria parrocchia. Solitamente, infatti, le persone di fede islamica o ebrea hanno i loro riferimenti, riducendo significativamente i casi in cui hanno bisogno di me. Ad ogni modo, ritengo che rivolgersi alla persona di riferimento della religione del paziente, sia davvero una risorsa importante per l’elaborazione del proprio lutto e la ricerca di significato nella propria vita”.
È importante sottolineare che, in ogni caso, l’assistente spirituale mantiene una laicità di mandato e non cerca in alcun modo di imporre una specifica fede religiosa ai pazienti.
Abbiamo chiesto a Caterina di condividere con noi la testimonianza di una persona che ha assistito e che ha sentito di aver aiutato in modo particolare durante il suo lavoro svolto fino ad ora in VIDAS. L’assistente spirituale ci ha dunque raccontato di un caso recente su cui ha lavorato, in assistenza a domicilio. Una signora di 62 anni affetta da una malattia inguaribile, che ha chiesto di vedere un frate annunciando “Non voglio morire con questi pesi sul cuore”.
“Dopo averle spiegato che VIDAS ha un’assistente spirituale volutamente laico per poter essere aperto a tutti, quindi non un frate, non una suora, ma una donna laica, abbiamo iniziato un percorso con l’obiettivo di lenire dei fortissimi sensi di colpa che attanagliavano la donna per fatti del suo passato, azioni compiute che lei riteneva molto gravi. In particolare si riferiva a due aborti avvenuti trent’anni prima, per cui temeva di non essere perdonata da Gesù”.
Caterina continua:
“Abbiamo fatto una serie di cose, tra cui delle meditazioni collegate all’amorevole gentilezza verso sé stessi, per fare sì che lei innanzitutto perdonasse sé stessa, e poi che si sentisse perdonata e amata da Gesù. Abbiamo poi proseguito con un piccolo rituale per i due aborti, simboleggiando le due bimbe non nate con due boccioli di magnolia. A seguire, una meditazione e una preghiera. Ho chiesto alla signora dove voleva che queste magnolie potessero essere disperse per tornare nella luce e lei mi ha risposto che avrebbe voluto liberarle nel corso di un fiume. Quindi, dopo aver compiuto un rituale simbolico e riposto i fiori in una specifica scatolina, sono andata sul corso di un fiume, ho liberato i fiori e fatto un video. Dopo averlo visto, la paziente mi ha confessato di essersi sentita sollevata e di aver continuato a pregare”. Il lutto perinatale, compreso l’aborto non spontaneo ma consapevolmente deciso, rappresenta una delle esperienze di lutto più complesse e difficili da elaborare, spesso a causa della mancanza di pieno riconoscimento da parte della società. Questo tipo di perdita può portare a sentimenti di colpa, vergogna e isolamento, rendendo il processo di lutto ancora più complicato per chi ne è colpito. “La speranza, però, è di aver aiutato, sollevato e “guarito” con il nostro lavoro una donna che aveva bisogno di aiuto per affrontare in modo più sereno la sua imminente morte.”