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24.05.2024  |  Operatori

Casa Sollievo Bimbi: 5 anni, 300 incontri

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Casa Sollievo Bimbi compie 5 anni e festeggia più di 300 incontri con famiglie abilitate allo sforzo sovrumano di far funzionare la quotidianità, erogare nove ore al giorno di assistenza, essere pronte a gestire l’emergenza

Cinque anni di Casa Sollievo Bimbi, l’hospice che non c’era – modello e punta avanzata del Paese, in un territorio, la Lombardia, dove le cure pallia-tive sono sviluppate e capillari, per gli adulti. Non così per bambini e ragazzi con gravi malattie, per i quali la rete di assistenza resta fragile.

Il bilancio del primo quinquennio è una ricchezza che, dentro VIDAS, si misura nei numeri delle prese in carico – cen­tinaia di incontri, con famiglie che hanno con la malattia grave, senza speranza di guarigione, un confronto quotidiano, che dura anni. Famiglie che vivono lo sdoppiamento di stare nel presente e insieme dover guardare oltre il quoti­diano.

Il dott. Albarini e Nicolò in Casa Sollievo Bimbi

Le racconta così Igor Catalano, responsabile medico cure palliative pediatriche VIDAS, che opera integrando degenza, day hospice, domicilio: “Devono coniugare giornate di cose comuni, piccole felicità e problemi minuti con l’organizzazione complessa imposta dalla malattia. Famiglie spesso con più figli, uno dei quali dipende da presidi medici per la propria sopravvivenza, di fare fisioterapia, essere portato in centri di riabilitazione, all’occorrenza ricoverato, e riceve tutti i giorni terapie, farmaci da somministrare o operazioni più complesse da svolgere. Erogare la cura e l’assistenza occupa, in media, nove ore al giorno – ma nei casi più gravi sono fino a 24, giorno e notte”.

Su un binario parallelo, distinto e presente, grava sulle lunghe giornate estenuanti, l’eventualità che il bam­bino destinatario di tanta attenzione possa aggravarsi e morire prematuramente. Allora entrano il tema della proporzionalità della cura e la necessità di fare delle scelte, gestire l’evoluzione della malattia, condividere la pianificazione con chi lo cura, ragionare sugli aspetti etici delle decisioni, cosa è giusto e cosa no, qual è il best interest, come si esprime la letteratura scientifica.

“La verità? A questi genitori chiediamo sforzi sovrumani. Lo facciamo durante i percorsi di abilitazione in Casa Sollievo Bimbi. Chiediamo di essere genitori e caregiver, dimensione che può essere alienante, che fa perdere di vista il fatto di avere loro stessi bisogno di aiuto. Il mandato all’assistenza logora”, così Igor.

“Questi genitori sono persone delle più diverse cul­ture e provenienze, svariati livelli di istruzione e ceto, rete familiare e sociale non sempre florida e colla­borativa, con barriere linguistiche, perché una fetta consistente hanno origine non italiana e sono poco inserite nel territorio.
L’entrata delle cure palliative è un momento estre­mamente delicato e potenzialmente traumatizzante, ma, col passare degli anni, molti sono arrivati più pronti – risultato del lavoro sui territori milanese e monzese e, più in generale, lombardo. Genitori rela­tivamente più sereni vedono nelle cure palliative l’op­portunità di portare il loro bambino a casa, magari dopo mesi di ricovero nelle rianimazioni o terapie intensive neonatali”.

Igor racconta quanto possa essere virtuoso lo scambio tra curanti e caregiver: “Certi genitori sono più prepa­rati di noi perché del loro bambino e della sua malattia, magari rarissima, sanno tutto, spesso grazie a solidi network informali. Il modo in cui riescono a stare, anche serenamente, all’interno di situazioni complicate, è un dono per gli altri genitori in contatto con noi. Ho il ruolo di passare il testimone, ricevo e trasferisco in una catena virtuosa fatta di culture, età, esperienze diverse”.

Sulla capacità di stare, accettando la malattia come condizione da cui ripartire come famiglia, sono coin­volte psicologhe e educatrici. Spiega Carlotta Ghironi, psicologa di Casa Sollievo Bimbi: “Si parte dai bisogni del bam­bino o del ragazzo, valutando se può beneficiare di supporto psicologico. Molti sono in stato vegetativo o gravi disabili e, allora, il mio supporto è offerto al resto della famiglia. Mi presento a tutte come psicologa del reparto che lavora nell’équipe allargata e le aiuto ad accogliere la mia figura, abbassare le resistenze, aprirsi”.

Un’assistenza che coinvolge soprattutto i genitori. Nessuno se l’aspetta, la malattia, e il suo impatto è tellurico, sia che irrompa in una condizione fino a quel momento di salute, sia quando è annun­ciata alla nascita o in fase prenatale. “È importante dare spazio a un vissuto di emozioni compresenti, tri­stezza, rabbia, senso di ingiustizia, delusione per un progetto familiare stravolto e, al contempo, cogliere e rinforzare gli aspetti positivi nel modo in cui si è raccolta la sfida che la malattia rappresenta, facendo emergere le risorse cognitive e emotive, di rete fami­liare e sociale”.

seconda famiglia casa sollievo bimbi

Anche Marta Scrignaro, da pedagogista e educatrice, si prende un tempo di osservazione del bambino malato e via via di fratelli, sorelle, genitori. “Uno degli obiettivi primari del servizio educativo è di restituire a ciascun membro il proprio posto e il proprio spazio all’interno della famiglia e nel mondo. Ridare voce e espressione perché possano ri-guardarsi come figli, coppia, mamma e papà. La malattia non scompare ma smette di ingombrare l’orizzonte intero”. I rico­veri di sollievo sono pensati a questo scopo: “Quando una famiglia decide di lasciare qui il proprio bambino, per una, due, tre settimane, recupera uno spazio di ascolto interno. Il primo distacco è doloroso – spesso è il primo in assoluto – ma, quando tornano, rilassati, scoprono che il loro figlio è stato bene, non ha sof­ferto l’assenza perché possiede doti di autonomia, impreviste e sorprendenti”.

La malattia mette in ombra risorse e potenzialità, chi ne è il portatore viene appiattito sulla sua diagnosi. L’intervento che si fa, educatori e terapisti di arte e musica, è di fare luce, indagare e riscattare abilità, talenti, tratti di personalità

Le segnalazioni dei casi arrivano tipicamente dai centri ospedalieri e, in misura minore, dal territo­rio – ovvero da strutture riabilitative, pediatri, medici di medicina generale. In qualche caso, però, sono state richieste da genitori, informati e consapevoli. È una possibilità e un diritto. Ed è – per dirla con il termine che raccoglie quel che è stato scritto sin qui – accrescere l’empowerment.

Questo articolo è tratto dal Notiziario “Insieme a VIDAS”.
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