“La prima volta che ho visto Nicolò era agosto del 2020,” racconta Marco Albarini, da quattro anni pediatra in VIDAS. “Era arrivato in Casa Sollievo Bimbi con un trasferimento dall’ospedale Buzzi e mi ricordo che piangeva. È strano pensarlo così ora, perché Nicolò è un bambino sorridente, gioioso, e quando ride, ride con tutto il corpo. Ma quel giorno provava un dolore fortissimo.”
Nicolò, che sta per compiere 10 anni, convive con la Sindrome di Alexander, una malattia genetica rara che annovera tra i sintomi più importanti ritardi nello sviluppo psicomotorio, epilessia e disfagia. Nello specifico a causare così tanto dolore a Nicolò nel giorno del suo arrivo in Casa Sollievo Bimbi erano delle coliche addominali molto disturbanti. “Sentirlo piangere è stata la parte più difficile.”
Negli ultimi tre anni la sua condizione di salute è passata attraverso momenti di ripresa e peggioramenti più o meno lievi. In tutto questo percorso, Marco è sempre stato il punto di riferimento di Nicolò e della sua famiglia in VIDAS.
“La cosa più bella è che lui ti cerca proprio. Magari è di là nella sua cameretta, perché lo vistiamo anche a casa, poi noi andiamo in sala per scrivere al computer e parlare con i genitori, e lui vuole venire lì dove sei te! Vuole guardare cosa stai facendo, anche se è una cosa banale come scrivere un referto o stampare un foglio, vedi che lui è interessato. Allora interagisci con lui, gli racconti una storia, gli allunghi un gioco e vedi che continua a seguirti. È senz’altro la parte più bella del mio lavoro.”
Lavorare nelle cure palliative pediatriche non è semplice e per Marco è un impegno preso alla fine di un lungo percorso. “Sono contento di aver scelto Pediatria perché assistere i bimbi è la cosa più bella della mia professione, rimane una costante della mia motivazione, ma prima di arrivare alle cure palliative pediatriche ho fatto veramente di tutto. Dalla pediatria di base, agli ospedali periferici, a quelli di provincia, a quelli più grossi, di terzo livello, con tutta la parte specialistica. Arrivo quindi alle cure palliative pediatriche dopo aver fatto tutte queste cose ed è giusto così. Come primo impatto forse sarebbe stato un po’ troppo pesante e conoscendomi non sarei stato pronto, non avrei avuto la maturità, l’esperienza e la preparazione che posso offrire adesso.”
Oggi sente che è il momento giusto per dedicarsi alla cura di bambini come Nicolò. “Sono quelli che hanno più necessità, i pazienti per i quali magari altre persone potrebbero trovarsi più in difficoltà, specialmente se all’inizio della propria carriera. Quindi ho l’esperienza che mi aiuta – un bagaglio di preparazione che mi permette di poter affrontare le loro criticità – e la formazione continua che è sempre necessaria.”
In questa linea di professione si continua a studiare, questo è indiscusso, e per eccellere devi lavorare insieme ad altri professionisti, per dare il miglior supporto possibile a questi bambini e alle loro famiglie. Da cui poi, ci tiene a precisare Marco, “riceviamo tantissimo.”
“Essergli d’aiuto è sicuramente la soddisfazione più grande del mio lavoro ma l’insegnamento più importante che ho ricevuto è vedere come stanno nella loro situazione di malattia inguaribile. Anche se sono piccolini, sono sicuro che riescono a percepire la loro condizione. E vivere in una condizione come la loro, con la serenità che hanno loro, sicuramente è un esempio di grande forza e un insegnamento su come affrontare la vita.”
Sostenere questo tipo di situazioni ogni giorno, però, richiede una certa dose di coraggio. “È impensabile accettare il dolore di un bambino. Ed è la cosa che mi spinge a lavorare tutti i giorni, poter fare qualcosa proprio perché è inaccettabile.” Mentre Marco parla, torna alla mente il pianto disperato di Nicolò in quell’agosto ormai lontano.
“Fare il possibile, questo è l’obiettivo”, continua il pediatra. “Sappiamo che non c’è possibilità di guarigione, ma sappiamo anche che nelle nostre assistenze c’è veramente tantissimo. Quindi è proprio la sofferenza – il fatto di non accettare che Nicolò e gli altri bambini come lui si trovino in questa condizione di dolore – che ci spinge a dare il massimo proprio per alleviarla nel migliore modo possibile. E per tanti aspetti riusciamo a dare una buona qualità di vita e, quando questo non è più possibile, una buona morte.”
Il tema dell’accompagnamento è sempre delicato e quando si tratta della vita di un bambino – agli albori, incompiuta, eppure già terminata – lo è ancora di più. Ma l’accompagnamento è fondamentale per evitare una sofferenza ancora più grande.
“Una buona morte vuol dire evitare una sofferenza terribile nel momento più critico. Ognuno degli operatori di Casa Sollievo Bimbi con la propria professionalità lavora per lo stesso obiettivo che tutti hanno a cuore, garantire la miglior qualità di vita possibile a questi bambini che non possono guarire. E la mia parte nell’ingranaggio – complesso, doloroso, bellissimo – delle cure palliative pediatriche è quella di fare il medico.”