L’istituzione della Scuola di specializzazione in cure palliative è un relativamente recente. Infatti, prima della pubblicazione del Decreto del 28 settembre 2021, che istituisce la Scuola di Specializzazione in Medicina e Cure Palliative, chi aveva interesse a operare in questo ambito doveva procedere indipendentemente attraverso master o altri corsi di formazione.
Lo stesso decreto introduce anche il corso di Cure Palliative Pediatriche nell’ambito dei corsi obbligatori delle Scuole di Specializzazione in Pediatria.
Da gennaio è attiva una convenzione tra Casa Sollievo Bimbi e l’Università degli Studi di Milano, che offre agli specializzandi in Pediatria la possibilità di eseguire una turnazione di tre mesi nell’hospice pediatrico di VIDAS.
“La scelta di inserire una turnazione in cure palliative pediatriche risponde a due esigenze principali” spiega Valentina Fabiano, Professoressa Associata di Pediatria del Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche dell’Università degli Studi di Milano e docente della Scuola di Specializzazione in Pediatria.
“Una è di carattere normativo. Con l’approvazione del decreto, affiancare al corso obbligatorio una frequenza in un servizio di cure palliative pediatriche è un passaggio che abbiamo ritenuto logico per arricchire e completare la formazione dei nostri specializzandi in questa area. L’altra esigenza è stata invece quella di rispondere a una richiesta arrivata proprio dai medici in formazione, che hanno manifestato la volontà di imparare a gestire la cronicità, la terapia del dolore e i vari presidi in utilizzo ai bambini con malattie complesse. Nonché il bisogno di confrontarsi più da vicino con la gestione della terminalità e del fine vita di un bambino, sia dal punto di vista medico ed etico-giuridico, sia per imparare a comunicare con le famiglie.”
Saper comunicare è una dote importantissima per ogni medico, ancora di più nella fase terminale della malattia, che richiede delicatezza ed empatia. “Facendo altre turnazioni in ospedale mi sono accorta di quanto a volte si faccia fatica a parlare di certi argomenti,” aggiunge la Dottoressa Chiara Hruby, Medico in formazione specialistica di Pediatria al quarto anno. “La morte è ancora un tabù in certi contesti, soprattutto quando si parla di bambini. Quindi, anche per capire meglio da un punto di vista sia giuridico sia etico come gestire questo tipo di situazioni molto complesse, mi è venuto il desiderio di conoscere una realtà che si occupasse nello specifico di questo tema.”
Chiara è la prima specializzanda ad aver eseguito la turnazione in Casa Sollievo Bimbi, a cui si può accedere dopo aver completato un’esperienza in un reparto di degenza pediatrica di III livello e una in un reparto di terapia intensiva pediatrica o neonatale. “La turnazione in Casa Sollievo Bimbi offre un completamento di questa formazione, dando agli specializzandi l’opportunità di fare esperienza nell’unico Hospice Pediatrico della regione e di confrontarsi anche con la gestione domiciliare delle cure palliative, esperienza che non avremmo potuto offrire all’interno dei nostri ospedali,” conclude la professoressa Fabiano.
Della sua esperienza in Casa Sollievo Bimbi, Chiara ricorda “Un sacco di luce” [ride]. Sia in senso letterale sia figurato. “Mi sono sentita accolta da tutta l’équipe, con un calore che mi ha aiutata tantissimo. Le situazioni che ci si ritrova a fronteggiare, che siano di fine vita o di patologie inguaribili, hanno un impatto emotivo importante. L’obiettivo di cura viene completamente ridefinito rispetto all’ospedale. In più, per come è strutturata Casa Sollievo Bimbi – dove la famiglia intera può risiedere all’interno dell’hospice – è molto difficile mantenere le distanze e questo aspetto inizialmente mi ha messa in difficoltà.”
“L’équipe mi ha tuttavia sempre supportata, mi ha fatto capire che sentirsi “in difficoltà” era non solo normale ma anche necessario per fare bene questo lavoro. Bisogna imparare a stare nel dolore, a immedesimarsi nella situazione della famiglia, anche se è faticoso.”
In tre mesi Chiara sente di aver imparato molte cose, ma soprattutto “a considerare il paziente per i suoi bisogni e non tanto per la sua malattia e capire quali sono le sue priorità e non quelle che il clinico percepisce come tali. In questo mi è servito molto collaborare con altre figure professionali, perché mi hanno aiutato a dare importanza ad aspetti della vita di un bambino che normalmente, facendo il resto della formazione in ospedale, non sono altrettanto valorizzati. La figura dell’educatore è stata una scoperta. Vedendo Marta [Scrignaro] lavorare mi sono detta che in effetti un bambino che non riesce a giocare ha un’infanzia di tutt’altro tipo. Questo mi ha fatto riflettere molto su cosa facciamo, perché lo facciamo e quale deve essere il nostro obiettivo.” E a queste domande si è data una risposta.
“Non è certo un discorso nuovo, ma al punto in cui è arrivata la medicina oggi, con una possibilità quasi infinita di andare avanti nelle cure, quello che deve guidare l’azione del medico dev’essere il migliore interesse del bambino, la sua qualità di vita, e non perseguire la vita a tutti i costi, o la sopravvivenza fine a sé stessa.”