“La storia di Matteo parte dalla nascita, anzi addirittura dalla gravidanza, perché è stata una gravidanza a decorso regolare però con una deflessione della crescita. Matteo è nato piccolino e dopo un mese abbiamo avuto una prima diagnosi di sordità.”
Quella di Giovanna è la storia di tante mamme che affrontano la dura prova della malattia rara di un figlio.
In Italia si segnalano ogni anno 19.000 nuovi casi di patologie rare, ma quella di Matteo è una malattia mitocondriale che registra addirittura solo poche decine di casi in tutto il mondo.
Una diagnosi ricevuta dopo un percorso sofferto, partito con una encefalite che lo ha portato al coma e dal quale è uscito abbastanza bene ad una brutta polmonite proprio all’inizio dell’emergenza sanitaria a marzo 2020.
“Poi c’è stato l’esordio dell’epilessia e il 30 aprile siamo stati ricoverati restando in ospedale fino a fine agosto, passando lì più di tre mesi ma riuscendo finalmente ad avere delle risposte, una diagnosi certa, anche se infausta.
I medici ci hanno spiegato che con l’epilessia hanno avuto un quadro più chiaro, arrivando ad una diagnosi di malattia mitocondriale su base genetica rarissima, perché al mondo fino ad ora ne sono stati documentati davvero pochi, e quindi con una prognosi molto difficile da dare.
Non esiste una cura e quello che si può fare è curare i sintomi, ad esempio controllare l’epilessia che era per Matteo la sintomatologia in assoluto più invalidante.
Poi pian pianino mio figlio ha raggiunto da solo un equilibrio e siamo riusciti ad uscire dall’ospedale. E questa dimissione è stata possibile anche perché siamo stati segnalati a VIDAS per poter ricevere assistenza e formazione per la cura a casa di Matteo.
Infatti Matteo nel frattempo aveva messo la peg per potersi nutrire, aveva una terapia molto importante e anche se io sono un’ostetrica, e questo mi consente una maggiore dimestichezza, sono comunque la mamma e c’è un coinvolgimento diverso. Inoltre mio marito non aveva alcuna esperienza in campo sanitario.
La notizia di poter andare a casa era la più bella del mondo, ma la gestione di un bambino con una situazione sanitaria così complessa faceva paura. Noi siamo entrati in ospedale senza nulla, senza terapie particolari o presidi e siamo usciti con una serie infinita di attrezzature e abbiamo quindi capito che la nostra vita pratica sarebbe cambiata totalmente.
La dottoressa ci ha parlato di Casa Sollievo Bimbi come una struttura ponte prima di tornare a casa in modo da riuscire ad aver un training nella gestione di tutte le varie procedure per Matteo, sia per me sia per mio marito. E poi era un luogo protetto in cui potevamo tornare ad essere tutti e quattro una famiglia.
Il 30 luglio abbiamo fatto il trasferimento in Casa Sollievo Bimbi per un ricovero di 2 settimane in cui abbiamo ricevuto assistenza infermieristica e molte risposte sulla gestione del bambino a casa che fino a quel momento non avevamo avuto; perché giustamente in ospedale l’assistenza infermieristica si occupa solo dell’assistenza in quel contesto.
Gli infermieri sono stati preziosi per la gestione pratica di Matteo a casa, dalla preparazione del latte che in ospedale ci veniva fornito pronto, alla gestione dei farmaci, dell’aspiratore, degli alti flussi. Tutto quello che gli infermieri facevano in ospedale ci veniva trasferito per la gestione a casa. E in più è stato fantastico il poter essere tutti e quattro insieme; l’altro mio figlio Luca ricorda ancora come una vacanza la permanenza nella stanza Leone e quegli ambienti ampi e colorati dove poter giocare. Questo ricovero è stato necessario e a posteriori l’abbiamo capito meglio.
L’altro aspetto importante è stato sapere che una volta usciti da Casa Sollievo Bimbi avremmo continuato a ricevere un’assistenza generale medica, infermieristica, con la fisioterapista, con l’educatrice anche a domicilio e ancora oggi continua in maniera regolare.
Siamo arrivati a casa il 13 di agosto e oggi abbiamo trovato una nostra normalità, riuscendo a gestire la malattia di Matteo e avendo ritrovato un nuovo equilibrio familiare.”