Quando vuoi aiutare davvero a qualcuno, non ti arrendi alla prima, alla seconda, alle tante difficoltà che incontri. E nel nostro lavoro di difficoltà e di paure ne incontriamo tante, tutte le volte che entriamo in una casa e conosciamo una nuova famiglia.
Per la Giornata mondiale del malato condividiamo una storia, con la quale vogliamo raccontarti quanto per noi sia importante esserci per chi assistiamo, anche quando è più difficile del solito, dando spazio alle paure, ai giudizi, alle diversità d’opinione.
È una storia che arriva da Gabriel, infermiere VIDAS da 5 anni, ma che coinvolge un’équipe intera che si è attivata al massimo per una paziente gravemente malata e per costruire allo stesso tempo un rapporto di fiducia con tutta la sua famiglia.
“Non è facile affidarsi a qualcuno in un momento tanto difficile, anche se quel qualcuno è lì per dirti che farà il possibile per rendere quel tempo, un tempo migliore per chi soffre.
Quando abbiamo conosciuto G., il marito, aveva appena interrotto l’assistenza con un altro ente, poiché non condivideva l’approccio secondo cui era necessario intervenire con delle terapie, che prevedevano anche la morfina, per alleviare le sofferenze di sua moglie.
Anche per noi quindi l’accoglienza non è stata semplice. Dal nostro punto di vista un percorso di sedazione graduale era necessario per offrire sollievo alla signora, ormai rinchiusa in un corpo che non sentiva più suo – come ci diceva scrivendo con l’indice della mano sulla propria gamba ( la paziente già alla presa in carico non era più in grado di parlare; ci “parlava “scrivendo le lettere inizialmente su un foglio di carta e poi, peggiorando le riproduceva con il dito sulla propria coscia) e terrorizzata da momenti in cui non riusciva a respirare. Si sentiva rinchiusa in un carcere, una gabbia dalla quale non riusciva ad uscire. Così descriveva il suo corpo.
Ma suo marito e i suoi figli facevano fatica, la paura che provavano forse impediva di percepire loro le difficoltà della moglie e mamma. Pensavano probabilmente che, un giorno, senza preavviso, sarebbe andata via tranquillamente, non riconoscendo invece che la sofferenza psicologica e fisica aumentavano ogni giorno di più.”
In questo caso il tempo, che purtroppo non sempre abbiamo come alleato, e l’ascolto sono stati fondamentali.
“Se non diamo spazio al confronto, al rifiuto qualche volta, non possiamo trovare la via giusta per entrare in contatto e spiegare l’importanza del nostro intervento per chi soffre. Ed è quello che abbiamo fatto, continuando ad esserci senza imporci, e iniziando un percorso durato quasi un anno.
Abbiamo attivato un po’ tutte le figure, medico e infermiere, la fisioterapista, che aiutava la paziente a mantenere la mobilità articolare, la psicologa che ha supportato tutti, organizzando lunghi colloqui, sia con la paziente sia con i famigliari, aiutandoli a dare voce alle loro paure, l’OSS che ha dato degli utili consigli alla badante.”
Abbiamo dato il massimo, tutti insieme.
“Nella mia esperienza è una delle assistenze che mi ha coinvolto maggiormente e mi ha fatto riflettere molto su quanto sia importante starci dentro comunque, anche se all’inizio non sei accettato, non ti senti accolto al 100%, non vieni del tutto percepito, nel tuo desiderio di far star bene il paziente. Inoltre mi ha aperto una nuova visione sulla fatica che fanno i familiari dei nostri paziente ad accettare situazioni, condizioni di vita non facili.
Il tempo e la reciproca conoscenza ci ha permesso di consolidare un rapporto di fiducia con la famiglia, un totale affidamento della paziente che nei suoi ultimi giorni di vita, durante i quali non parlava e non scriveva più, riusciva solo a muovere un dito della mano destra, grazie alla sua badante abituata a interpretare e tradurre i suoi pensieri, ha scritto sulla coscia ‘mi fido ciecamente della dottoressa Maura’. La fiducia e l’affidarsi totalmente della paziente ci ha dato la forza di continuare ad esserci e sapere che eravamo nella direzione giusta.”