Il 27 luglio 2008 moriva nell’hospice di via Ojetti Gianfranco Piacentini, fine umanista, letterato, compagno per un lungo tratto di vita di Giovanna Cavazzoni e con lei socio fondatore di Vidas.
Scrisse Giovanna in quei giorni: “Dopo 26 anni ho perso l’amico dei pensieri, ma anche se la nostra storia è stata interrotta, quel capitale è lì per chi verrà o vorrà”.
Ebbene, quel capitale è capitato anche a me d’intaccarlo. Ne ho goduto nelle molte sere fatte di chiacchiere davanti a una collina di arachidi che si formavano sul tavolo, frutto di conversazioni che spaziano nell’infinito del nulla che producono, ma forse proprio per questo d’ineguagliabile necessità.
Gianfranco era uomo dal parlare ellittico, proprio come la figura geometrica oggetto dei miei incubi da liceale, quella specie di cerchio allungato che pare ti conduca fuori strada, ma poi ti riporta con sapienza e ricchezza all’origine.
Ebbene, in una delle conversazioni che mai ho dimenticato, si parlava di indifferenza. Della società della pubblica indifferenza. Si era nel principio degli anni Novanta del secolo scorso quando una nave albanese arrivata a Brindisi ci fece riflettere sulla disperazione, senza sapere o voler sapere che quell’episodio era solo il principio di una nuova stagione, il primo distaccamento dei paria della terra che aspirano a entrare nelle strade del Vecchio Continente.
Quanto accaduto è solo l’avvisaglia di ciò che ci attende da altre parti del mondo, disse Gianfranco. Se negheremo il bisogno di attenzione e di tenerezza che è dovuta a ciascun essere umano, quegli esseri disperati avranno con sé solo le armi dell’odio e della disperazione. “Sì – aggiunse – perché se la fame è più crudele di Erode, l’indifferenza è più ignobile di Caino”.
“Hai presente il dipinto di Bruegel il Vecchio, la Caduta di Icaro?”
“Sì” mentii.
“Nel quadro – proseguì perdonando d’acchito la mia menzogna – l’avventura del figlio di Dedalo è alle battute finali. Icaro è caduto in mare, precipitandosi di testa, solo i piedi sono ancora visibili fuori dall’acqua. Ebbene, nel quadro ci sono un pecoraio, un contadino che spinge l’aratro e un pescatore, del tutto indifferenti allo svolgersi del dramma. Basterebbe poco per degnare di uno sguardo Icaro. Ma quelli no, non possono nemmeno aprire gli occhi perché la loro cecità è cronica”.
Qualche minuto di silenzio e sembrammo passare a tutt’altro argomento. Vidas, l’impegno per l’assistenza, le mille iniziative da proporre. E mi venne da pensare alla straordinaria, apparente contraddittorietà di quell’uomo.
Ma come? Dopo avermi spiegato che il mondo scricchiola sotto pesi infami, mi inviti al fare, dal giorno dopo?
Sì, fare, anche quando ci pare non ci sia più niente da fare.
Caro Gianfranco, che la terra continui a esserti lieve.