di Daniela Nava
Giovanni è un anziano signore che somiglia senz’altro a qualcuno che conoscete, vostro padre, il vostro vicino di casa – uno dei tanti vecchietti dall’aria mite che incontriamo ogni giorno, al supermercato, in coda alla posta, al bar. Quello di cui parlo è in pensione da molti anni e abita con la moglie Angela alla periferia nord di Milano, ha un sorriso disarmante, dolce come quello di un bambino e una sfilza di disturbi e malattie di lungo corso di cui tende a minimizzare i sintomi.
Così, anche se è diabetico e ha avuto un’ischemia cardiaca – da profana della medicina, genericamente direi che si tratta di una crisi dovuta a scarsa ossigenazione del cuore per l’occlusione parziale delle arterie – a seguito della quale è stato in ospedale per diverso tempo, Giovanni non riconosce i sintomi di una grave crisi respiratoria che avrebbe potuto essergli fatale, lo scorso agosto.
A impedire che accadesse l’inevitabile e far in modo che se la cavasse, a dirla veloce, per il rotto della cuffia, è stato un nostro medico – e tra colleghi già si scherza su quella prima volta che si rianima un paziente. Laura Persiani, che è stata rianimatrice in ospedale prima di diventare palliativista a domicilio, ha diagnosticato in pochi minuti un edema polmonare, stabilizzato le condizioni di Giovanni e fatto tra- sferire al pronto soccorso. Rientrato a casa, qualche settimana dopo, Laura ha ripreso con le sue visite, a cadenza settimanale inizialmente e quindicinale in seguito. Sua controparte è Graziella, l’infermiera che visita Giovanni con la stessa frequenza.
Il signor Giovanni non è terminale e riceve la nostra assistenza perché inserito in un programma speri- mentale, che abbiamo definito dei Cronici Complessi Fragili, o, più in sintesi, soltanto Progetto Fragilità, realizzato in collaborazione con un ospedale milanese e prevede il monitoraggio a casa loro delle persone che, dopo le dimissioni, possono beneficiare di un’assistenza a bassissima intensità, ovvero di una visita settimanale del medico e dell’infermiere, in alternanza. A Giovanni – e anche alla signora Angela – la consapevolezza di avere due professioniste a cui poter fare riferimento, a tutte le ore, anche di notte e di sabato e domenica, regala una quota non trascurabile di serenità. Senza illuderlo che la sua condizione possa modificarsi. A 82 anni, pur se sottovaluta la gravità dei suoi acciacchi, sa che il suo stato peggiorerà, irreversibilmente, e questi sono i suoi ultimi anni.
Nella popolosa regione dove ha sede VIDAS le persone anziane con malattie croniche e quadri clinici complessi dovuti, appunto, alla gravità e alla sommatoria di molti disturbi distribuiti su più organi, sono oltre 325.000. Facendo una proporzione sulla base del rapporto tra le due popolazioni, lombarda e nazionale, e considerando invariata l’incidenza della componente della fragilità negli anziani, si arriva a circa 1.800.000 persone. Sono anziani che spesso vivono soli, aggravante che, data la precarietà della loro salute, rende drammatica la loro condizione. Del resto, anche quando vivono con un coniuge, si tratta di persone non sempre in grado di prendersi cura di loro. La signora Angela vista con gli occhi di un medico, è un caregiver in parte inefficace – da persona anziana e senza competenze specifiche. In prospettiva, in Lombardia supereranno quota un milione i cosiddetti pre-fragili, e questo valore è da moltiplicare per sei estendendo lo sguardo all’intero Paese. Numeri che danno la vertigine – o la pelle d’oca.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che oltre l’80% dei costi in ambito sanitario coprono la cura delle cronicità, con una crescita esponenziale nei Paesi industrializzati. La sfida del futuro prossimo è modellare risposte efficienti oltre che efficaci, a fronte di risorse sempre più scarse.
Lo abbiamo visto bene, durante la pandemia, quanto sono fragili gli anziani– quanto sono numerosi e quanto, in effetti, l’invecchiamento si accompagna a una condizione di salute precaria. La durata della vita media è cresciuta ma, in qualche modo, la condizione degli over 65, che pure rappresentano un quinto della popolazione italiana, è sovente di prolungata cronicità di disturbi, anche gravi, dovuti a insufficienze d’organo, malattie metaboliche e cardiovascolarri. È una semplificazione brutale ma, in qualche modo, abbiamo allungato la vecchiaia. Gli ultimi tre anni non hanno aiutato né le azioni di prevenzione di largo respiro né il varo di programmi sanitari ad hoc per la popolazione anziana.
La risposta a una situazione così diffusa può essere, ragionevolmente, legata ad azioni sul territorio, che consentono di offrire risposte flessibili a costi incommensurabilmente più contenuti rispetto all’ospedalizzazione. Anche gli accessi al pronto soccorso si limitano all’essenziale quando è garantito il monitoraggio costante da parte di specialisti sanitari che riescono a prevenire le crisi o a gestirle senza ricorrere all’ospedale. La virtuosità di un’organizzazione che rilancia la collaborazione con i medici di medicina generale è evidente – in un rafforzamento di ruoli rispettivi che (ri)costruisce sinergie tra strutture e medicina di territorio.
Silvia, la figlia di un altro paziente inserito nel progetto Fragilità, così racconta l’esperienza della sua famiglia: “Mio padre Umberto, dopo un ricovero prolungatosi inaspettatamente a 56 giorni per varie complicazioni, una volta a casa faticava a camminare ed era confuso e assente. Sono stati necessari due mesi di assistenza da parte di VIDAS prima che stesse meglio. Il medico e l’infermiera sono entrati in punta di piedi nella nostra famiglia con una valigia di professionalità, empatia e umanità. Abbiamo ricevuto il kit per la telemedicina, che utilizziamo per monitorare e i parametri vitali che possiamo anche trasmettere a loro. Anche il medico di base e l’ematologo sono in contatto con noi e con gli operatori di VIDAS, in una costante triangolazione di informazioni.”
Accanto alle figure della micro-équipe, assistente sociale, medico e infermiere, per VIDAS è possibile offrire gli specialisti che sono già attivi nelle cure palliative, il fisioterapista, lo psicologo, il logopedista. Anche la telemedicina, anche se ancora sotto-utilizzata rispetto al suo potenziale, è una risorsa a disposizione delle famiglie in carico. È la prima articolazione di una risposta possibile a un problema che abbiamo appena messo a fuoco – invisibile nella percezione pubblica ma già drammatico per milioni di famiglie, che combattono a armi impari contro la scarsità di mezzi, propri e del Welfare pubblico.
Mentre scrivo, so che state pensando a genitori, zii, nonni – e forse a voi stessi. A quanto ci piacerebbe che si potesse partire da qui in un’epoca come questa che sembra così impoverita nelle idee di comunità, solidarietà sociale, capacità di prendersi cura, collettivamente, delle età estreme della vita. Viviamo la disaffezione e la sfiducia ma ricostruire quello che ci sta a cuore davvero, garantire una buona qualità di vita agli anziani – e, per contrappunto dialettico, opportunità e meritocrazia a ragazzi e giovani – non è forse la soluzione di tutti i problemi ma ne eliminerebbe una grossa fetta. Restituire un futuro ai nostri figli e anche, mutatis mutandis, più breve ma altrettanto sereno, ai nostri genitori.
Questo articolo è stato tratto dal Notiziario VIDAS. Leggi l’ultimo cliccando QUI