Pubblichiamo la recensione di Samuele, studente di 20 anni, che ci da il suo punto di vista su Exit, la graphic novel sul fine vita edita da Becco Giallo cura da Gloria Bardi, docente di storia e filosofia e bioeticista, e illustrata da Luca Albanese.
Exit è un titolo che offre una prospettiva molto interessante sul fine vita.
Vede la morte come un’uscita. Non è una visione imposta, ma l’unica ragionevole – non nella vita spirituale e religiosa di ciascuno, ma certamente nella dimensione pubblica in cui la morte chiede di essere affrontata.
È un titolo che ricorda anche il posto della morte. Perché un’uscita esiste nella misura in cui esiste qualcosa da cui uscire – per certi versi, esiste in funzione di esso. La morte è in relazione con la vita.
Il nostro mondo vive rimuovendo la morte. Quindi la vede come una cosa così estranea alla propria esperienza da non immaginarsene una in armonia con la vita che l’ha preceduta. Tanto che, alla fine, quando si parla di morte in pubblico – trovo particolarmente riuscita la tavola di pagina 94, in cui Democratici e Repubblicani manifestano sul caso Schiavo – le posizioni sono estreme, ideologiche, non dialoganti.
Ed è guardando quella tavola, in alto al centro, che sono riuscito a formulare la domanda che sentivo aleggiare dal titolo: di cosa parliamo quando parliamo di morte?
La scienza non può dare risposte utili in questo senso – parallelamente, di nuovo, alla sua incapacità di spiegare cosa sia la vita. Lo si vede bene nel capitolo sulla morte corticale: io qui insegno medicina, dice il professore allo studente, quando quest’ultimo gli pone domande che vanno appena al di là delle relazioni funzionali tra corteccia e midollo allungato.
Ma la vera risposta, quella che conta tanto nelle scelte di vita quanto in quelle di morte, non può che venire dal singolo.
Le storie dei singoli vengono raccontate sempre con colori più sfumati, i marroni e i grigi della realtà. Delle scelte difficili – tanto difficili quanto personali.
La realtà non ha bisogno di ideologie, né di partiti. Exit mostra molto bene come questa realtà passi costantemente in secondo piano quando si parla di morte, sia tra le file dei pro-life che dei pro-choice. Forse in fondo quello che mettono in luce queste pagine è l’assenza di empatia nei confronti di chi si trova sulla soglia della morte – come se non ci riguardasse, e fossimo destinati a restare per sempre in questa vita.
Il libro unisce alle storie delle persone molti riferimenti legislativi, storici e politici utili a inquadrare le storie piccole nella Storia grande e viceversa, e a capire come siano legate e interdipendenti.
Exit si conclude magnificamente, con il discorso di Jules Bastregan, sintesi di tutto il senso del libro. Oggi, chi ha la fortuna di vivere nel nostro mondo, in cui un immenso potere tecnologico ci dà un notevole controllo sulle funzioni vitali, ha anche l’immensa responsabilità di definire da solo il senso della propria vita, e quindi, come usare questi potenti mezzi. E la fine della vita, l’exit di cui si parla tanto, deve avvenire rispondendo a quei requisiti di senso che nessuna ideologia può esaurire.