«L’arte può esprimere il dolore? Lo fa? E poi quale dolore? Un dolore fisico, un dolore morale, un dolore dell’anima? Il proprio, perché soggettivo, o è in grado di raffigurare il dolore degli altri? E come? Con quali modalità? E da storico mi chiedo: in tutte le epoche alla stessa maniera?» Così si esprimeva Ede Palmieri – allora Direttore della Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etnoantropologico di Milano – nel suo intervento dedicato a “Linguaggio e raffigurazione nell’arte” ai Seminari del 2006 dedicati al tema del dolore.
Iniziamo così ultimouna riflessione su come l’uomo raffigura il dolore, proprio e altrui, fisico o psicologico, e su come è cambiato il modo di tratteggiare i segni della sofferenza nel corso dei secoli. Esiste un parallelismo tra la sensibilità artistica e quella della società sulla percezione del dolore? Lo scopriremo con un percorso comune alla sezione di “Assistenza”, in cui verranno ripercorse le tappe di evoluzione verso l’odierna concezione della Terapia del Dolore a partire dall’antichità.
La già citata Palmieri evidenziava come «nell’antichità, e fino a tempi molto vicini a noi, cioè fino agli ultimi due secoli, le raffigurazioni del dolore sono scarse e abbastanza isolate nella storia dell’arte. Se viene espresso il dolore non è mai il proprio. Ad esempio nell’antichità classica, dove prevaleva una corporeità idealizzata, universale, dove la statuaria greca ci mostra il bello ideale, il giovane dal corpo perfetto, sono rari i momenti in cui viene espresso il dolore. Un dolore che, sia esso fisico del morente o interiore, è sempre eroico anche questo sublimato attraverso un tema eroico, o una drammatizzazione dell’immagine».
Tutto ciò è ben visibile nel “Gruppo del Laocoonte”, databile al I secolo d.C. e conservato nel Museo Pio-Clementino dei Musei Vaticani, a Roma. La scultura raffigura un episodio narrato da Virgilio nell’”Eneide”. Il veggente Laocoonte aveva messo in guardia i troiani sulla provenienza del mitologico cavallo così Atena, che parteggiava per i greci, mandò due enormi serpenti marini a punirlo: questi avvinghiarono i suoi due figli e quando egli accorse in loro aiuto fu stritolato assieme ad essi. La compostezza delle espressioni non rispecchia il terribile dolore fisico a cui Laocoonte e i due fanciulli sono sottoposti, né rispecchia la lettera virgiliana che narra di urla strazianti. Al contrario quel che la scultura rappresenta è la sofferenza conciliata con l’ideale di bellezza classica: Laocoonte non può dunque urlare sguaiatamente tutto il suo dolore, deve limitarsi ad esprimerlo tramite i contorcimenti del proprio corpo.
Con l’andare dei secoli il ritratto idealizzato degli eroi lascerà il posto inizialmente alla raffigurazione pietosa della morte del Cristo, quindi a una sofferenza più interiore. Tutti argomenti di cui parleremo presto, arrivederci alla prossima puntata!