“The answer my friend /is blowin’ in the wind”. “La risposta, amico mio, si perde nel vento” (letteralmente, ‘soffia’ nel vento). Così cantava Bob Dylan, nei primissimi anni Sessanta, in uno dei suoi pezzi immortali. E cantava Joan Baez, che la reinterpreterà poi, come lui, migliaia di volte. Scusate, ma non resisto alla tentazione di proporvi, tra un numero infinito di video, questi due:
Guardate quelle faccine nella ripresa in bianco e nero: giovanissime, pallide, emozionate. Lei e lui alle prese soltanto con la propria voce e chitarra: una ‘spietatezza’ da cui solo gli…eroi si salvano. Parlavano allora di – chiamiamola così – un’etica che per molto tempo fu poi massacrata da ben altri percorsi del mondo. Credo che oggi alcune di quelle frasi straordinariamente veggenti e ‘utopiche’ siano ancora conficcate dentro coscienze lucide, ma anche in altre semi-dormienti. E soprattutto, che l’etica del dubbio sia qualcosa di irrinunciabile nell’attraversare la vita. E qualcosa di ancora più intensamente umano quando la vita sta per finire. “Dove vado?”. “Esiste un’altra parte?”. “È giusto come mi stanno assistendo, accompagnando?”. Perdonate la pochezza di questi minimi esempi di domanda: le parole non riescono a spiegare, mentre ciascuno di noi è stato, ed è soprattutto in quel momento, diverso da chiunque altro, a volte perfino dal se stesso che conosceva.
Vi lascio due testi di posizioni credo molto distanti, anche nel tempo storico. Quello di un grande filosofo, Schopenhauer, e quello di una psicoanalista lungimirante, Lella Ravasi Bellocchio. Non commento di certo, perché vorrei solo che provassimo a riflettere sul senso del dubbio. Dell’interrogativo, della domanda. E di quali varianti, scarti e creazioni possano portare con sé. “Di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio”, diceva Bertolt Brecht.
D’altronde, il fatto che dovremmo sopravvivere alla morte non è in fondo un miracolo più grande di quello
della generazione, che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. Ciò che muore torna là dove proviene ogni vita, compresa la sua. In questo senso, gli Egiziani avevano chiamato l’Orco, ovvero gli Inferi, Amenthes, che, secondo Plutarco (…) significa (…) ‘colui che prende e colui che dà’, per dire che si tratta di un’unica sorgente da cui tutto fa ritorno. Da questo punto di vista, si potrebbe considerare la nostra vita come un prestito ottenuto dalla morte; il sonno costituirebbe allora l’interesse che noi paghiamo quotidianamente. La morte si annuncia chiaramente come la fine dell’individuo, ma in questo individuo è presente il germe di un nuovo essere. Dunque, niente di ciò che muore a questo mondo muore per sempre; ma anche niente di ciò che nasce riceve un’esistenza fondamentalmente nuova.
ARTHUR SCHOPENHAUER, Il nulla della vita, Il Melangolo, 2012
Incredulità di San Tommaso, 1600-1601
Caravaggio (1571-1610)
Non si sana quanto è stato guastato; ma possiamo insieme sopportarne la visione. Non abbiamo risposte;
ma possiamo imparare a riconoscere nel vuoto il valore, a ‘stare nel vuoto dal punto di vista del vuoto’, come scriveva Fachinelli. Un lavoro durissimo (…) Parlare di limiti non significa rassegnarsi; al contrario è dare valore alla relazione, allo spazio dell’esperienza emotiva della relazione, come contenitore-contenuto.
LELLA RAVASI BELLOCCHIO, La lunga attesa dell’angelo, Raffaello Cortina, 1992
Madame Stuart Merrill (Mysteriosa), 1892
Jean Delville (1867-1953)