“La custode di mia sorella” (titolo originale My Sister’s Keeper) è una pellicola diretta da Nick Cassavetes e uscita nelle sale cinematografiche nel 2009, tratta dall’omonimo romanzo di Jodi Picoult. Il film riesce ad affrontare in modo molto interessante un tema estremamente delicato: quello della malattia di un’adolescente e delle ripercussioni che questo evento ha su tutta la sua famiglia. Vederlo può essere un’occasione per comprendere meglio i sentimenti e le difficoltà che una famiglia deve affrontare quando combatte contro una malattia oncologica comparsa in età pediatrica.
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La trama del film ruota attorno alla famiglia Fitzgerald, in particolare alla loro figlia più giovane, Anna. La giovane donna è stata concepita attraverso la selezione genetica per essere una donatrice di organi per sua sorella maggiore Kate, che soffre di leucemia da quando era bambina. Sin dall’infanzia, infatti, Anna ha subito numerosi interventi medici, tra cui donazioni di sangue e midollo osseo, per aiutare sua sorella a sopravvivere.
Tuttavia, quando Anna raggiunge l’età di undici anni, si ribella contro i continui prelievi di organi e tessuti e decide di avviare una causa legale contro i suoi genitori, Sara e Brian, per il diritto di disporre del proprio corpo e smettere di essere una donatrice per sua sorella. Questa decisione crea tensioni all’interno della famiglia e solleva questioni etiche e morali complesse riguardo il diritto di una persona di scegliere cosa fare del proprio corpo, specialmente quando si tratta di salvare la vita di un familiare. La causa legale si svolge in tribunale, mettendo in luce le esperienze e le emozioni di tutti i membri della famiglia Fitzgerald.
Durante il processo vengono rivelati segreti e conflitti interni che mettono alla prova l’amore e la forza dei legami familiari. Il film esplora temi molto importanti, delicati e difficili, come l’etica medica, la lotta contro il cancro, l’amore fraterno e la complessa scelta tra il dovere verso un membro malato della famiglia e il desiderio di una vita indipendente.
Protagoniste della storia sono tre donne: Sara, la mamma della famiglia Fitzgerald, interpretata da Cameron Diaz, e le due figlie Kate e Anna, interpretate rispettivamente da Sofia Vassilieva e Abigail Breslin. Nel cast anche Jason Patric, nei panni di Brian Fitzgerald, il padre delle due sorelle, Alec Baldwin in quelli dell’avvocato di Anna e Joan Cusack in quelli del giudice che presiede il caso.
La storia racconta dunque la vita di una famiglia che viene stravolta dalla malattia di una figlia. Di come cambiano i ritmi e le priorità della vita, di come ogni decisione, ogni attività e ogni respiro, diventano in funzione della ragazza, supportata da tutti affinché possa vincere la sua battaglia contro il cancro. Tuttavia, il punto di vista non è solo quello di Kate, come spesso accade nel racconto delle storie di vita di uomini e donne che si ammalano e imparano a convivere con la malattia, ma è anche e soprattutto quello dei suoi familiari e caregiver, di cui troppo spesso ci si dimentica.
Eppure, non è difficile immaginare che quando una persona si ammala di una malattia grave, l’esperienza è talmente profonda e capace di rompere la routine e gli schemi della quotidianità da rendere tutto il nucleo familiare ammalato. Tuttavia, immaginare è quasi facile, comprendere è difficilissimo. Sofferenza, rimpianti, gelosie, amore per i figli, felicità, sono solo alcuni dei sentimenti contrastanti che chi vive un’esperienza così dolorosa può provare. Questo film aiuta a comprenderli e fa emergere l’importanza di offrire assistenza e sostegno non solo ai malati, ma anche al loro nucleo familiare, affinché i genitori e gli altri eventuali figli possano essere supportati da personale competente e adeguato.
Guardando il film viene voglia di leggere il libro, perché solitamente la lettura permette di assaporare meglio le emozioni originali della storia, che inevitabilmente il regista ha fatto proprie e quindi ha interpretato a suo piacimento. Tuttavia, a chi non si sente di affrontare la lettura, suggeriamo comunque di guardare “La custode di mia sorella” in famiglia, tenendo conto però che in Italia è vietato ai minori di 14 anni. Non perché ci siano scene traumatizzanti, ma perché il tema delicato della malattia pediatrica e della morte viene affrontato a viso scoperto e senza filtri, con un approccio più adatto ad un pubblico adulto.