Ieri sono stata sulla Luna – anzi, sulla faccia non illuminata, dove si incontrano figure lunari e anche più vivide di quelle terrestri, donne e uomini che ci somigliano e non sono noi.
In effetti, tre anni fa, a poco più di quarant’anni, avrei potuto accusare un leggero dolore al fegato, ricevere una diagnosi di cancro ma benigno e asportabile. A poca distanza avvertire un certo fastidio alle gambe, inizialmente non collegabile al tumore epatico ma, poi, in effetti, sì. In effetti, il decorso della malattia e la difficoltà nel formulare una diagnosi non sono il senso della storia.
Gli errori diagnostici accadono, e crediamo alla buona fede di tutti – le malattie accadono. Viviana, che è la donna, ancora giovane, come mi sento io, un anno fa ha spiegato, con una schiettezza che mi sembra il sintomo di una lucidità piuttosto straordinaria, ai suoi due bambini, di 7 e 11 anni, che la mamma stava per morire.
La malattia ha dei sintomi ma il modo in cui la affronti è un altro sintomo – di come sei tu.
La vita di Viviana è cambiata fulmineamente – ha fatto una piccola giravolta e lei ha smesso di poter fare le scale, ha lasciato il letto condiviso per una quindicina di anni con Mirko per un letto da ospedale piazzato nel loro soggiorno, un telecomando per muoverlo su e giù. Ha mollato il lavoro. La malattia è diventata un’ospite fissa delle sue giornate, nelle ultime 350 circa. Le colora, ne tesse la qualità.
Avrei potuto starci io al posto di Viviana – non ho marito e ho una figlia sola, ma la mia vita e la sua sono gemelle, continuano a rispecchiarsi una nell’altra. Lei vive sul lato in ombra della Luna, a cui si arriva uscendo un po’ da Milano, a una ventina di chilometri da dove sono cresciuta.
Non sono né un medico né un infermiere, faccio la comunicazione – incontro gli assistiti soltanto in occasione di interviste e servizi fotografici. Non faccio la parte stucchevole, troppo naïve, di chi si ribella all’idea che la malattia non debba accadere a giovani donne belle e sottili. Lavoro in VIDAS da troppi anni per non aver compreso che si muore da vecchi e da giovani, da bambini persino.
Le giovani donne hanno gli stessi sorrisi radiosi che indossavano nelle foto di tre anni fa, anche adesso che la malattia ha aggiunto vent’anni ai loro corpi. La malattia accade.
Viviana continua a protestare di essere viva, di essere rimasta la stessa. Ieri (era domenica) ha fatto tre torte, racconta Mirko, suo marito, e poi il gulash e il filetto alla Wellington. Giada, infermiera, e Mirella, fisioterapista, non sono sorprese dal racconto delle sue fatiche domenicali.
Viviana è un vulcano – e sembra arrabbiata con se stessa perché le capita di essere nervosa. Come se stare, stare in questo tempo sospeso, come in attesa e, al tempo stesso, continuare a vivere, fare la mamma e seguire le terapie, stare in ascolto e litigare con il marito, non fosse già sovrumano –glielo ha detto la sua bambina, lo scorso novembre, che aveva compiuto un’impresa straordinaria. “Sei ancora viva, mamma, ci pensi?”. Chissà se le somiglierei ancora, vista da qui, nell’atmosfera che è diventata improvvisamente così terrestre. Sei eroica, Viviana.