Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi.
La prima volta che ho letto “Il piccolo principe” ero alle elementari, l’ultima volta l’ho sentito recitare a teatro da Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni pochi mesi fa. È in assoluto il libro che ho riletto più volte in vita mia e ogni volta è come fosse la prima. Perché nasconde in sé così tanti insegnamenti che non basta una vita per coglierli tutti.
Fonte dell’immagine https://www.ilpiccoloprincipe.com/oeuvre/le-recit/
Da bambina mi era così chiara la fatuità degli adulti, a cui sempre bisognava spiegare tutto. Crescendo, mi auguravo di essere tra quei pochi che ricordavano di essere stati bambini e mantenere la capacità di vedere un boa che digerisce un elefante, e non un cappello. A rileggerlo oggi, alla luce di quel che il mio lavoro mi sta regalando, sono due le tematiche che più di ogni altra apprezzo.
La prima è la tensione verso l’altro, priva di qualsivoglia pregiudizio: il Narratore deve imparare a privarsi del suo modo di vedere le cose e adottare quello del Piccolo Principe per riuscire a relazionarsi con lui. Fin dall’inizio è chiaro come questa operazione non sia facile, infatti è solo al terzo tentativo che il Narratore riesce ad esaudire il desiderio del bambino di disegnargli una pecora.
La seconda è l’attenzione per la cura e l’accudimento. Non posso che rispecchiare i gesti dei tanti operatori che ho conosciuto in questi due anni nelle premure con cui il Piccolo Principe si occupa della sua rosa e nella pazienza con cui addomestica la volpe.
Un’opera adatta a grandi e piccini che si legge in poco tempo, ma si ricorda per sempre.