Ero presente all’ultimo incontro di formazione permanente dei nostri volontari con una psicologa Vidas quando è stato affrontato l’argomento degli addii. È emerso come tanti di noi abbiano elaborato una modalità personale e intima per accomiatarsi con serenità. Michela, attraverso il dono della scrittura, ci parla di un suo addio.
Sono le cinque. Appena io e gli altri volontari saliamo in hospice un’operatrice ci racconta che oggi Giulia è intrattabile: “Oggi qualsiasi cosa le dica sbaglio” sbotta. La giornata passa e io non ci penso più. Sono quasi a fine turno e mi sono dimenticata di questo racconto su Giulia. Poi, durante il giro per ritirare i vassoi della cena, arrivo alla sua stanza. Incrocio il suo sguardo vivo, il corpo è molto più gracile delle volte scorse, sembra un passerotto appena nato con le magre gambe distese come piccole ali che vorrebbero prendere il volo.
Giulia è seduta, gli occhi sono resi ancora più accesi dall’ombretto color verde e argento che le illumina le palpebre, i capelli scuri sono lisci e pettinati, anche se alcune ciocche scomposte si staccano dal cuscino, sembrano voler fuggire anche loro.
Mi regala un sorriso aperto “Che bella! Siediti”. Mentre mi siedo accanto al suo letto Giulia dice una frase in milanese. “Non ho capito”, provo a pronunciarla e mentre la ripetiamo insieme scioglie per me il significato di quelle parole. Sorrido “Sto imparando il milanese, sono ligure, solo che ora è andata in pensione la custode che ogni mattina mi dava qualche lezione”. Giulia ride, mi dice “Alcune espressioni milanesi sono bellissime”. Ne pronuncia alcune, cerco di ripeterle, ridiamo. Una risata aperta, mi trovo a ridere con lei come rido con le mie amiche, ci guardiamo negli occhi con complicità e divertimento puro, spudorato, pieno di energia. A bruciapelo mi chiede “Di che segno sei?”. Io: “Scorpione”. Lei: “Ho avuto diversi amanti dello Scorpione”. Mi racconta la storia del padre dei suoi figli, un uomo bello e molto ricco che l’aveva lasciata improvvisamente. Con tre figli da sfamare. Una sera con i morsi della fame l’aveva chiamato, al telefono aveva risposto la sua nuova compagna “Mi dispiace, noi stasera mangiamo il caviale”. Lia si immerge nella rabbia, rivive quei momenti, in cui era uscita per sfogare gli istinti violenti che l’avevano assalita. Un amico incontrato per strada le aveva dato i soldi per sfamare i figli quella sera.
Poi Giulia passa a parlare di politica e mi dice “È che io non posso votare. Ma se vince quello metto la testa sotto al lenzuolo, in modo che chi entra mi trova così. Guarda”. Solleva il lenzuolo a coprirle la testa e tutto il corpo. Sembra un bambino che gioca a costruire una casa sotto le lenzuola. Esplodiamo di nuovo in una risata fragorosa, come una cascata che scoppia all’impatto con il suolo e fluisce piena.
Mentre scrivo lo stomaco si contrae spiazzato. Le elezioni sono domani. Non so chi vincerà. Ma so che Giulia non potrà farsi trovare con la testa sotto al lenzuolo.
Chissà se da dove si trova ora sta ridendo all’idea di essersi voluta nascondere così.
Mi piace pensarlo. Mi ritrovo in questo bar di montagna, a guardare oltre la vetta coperta di neve e a sorridere. Strizzo un occhio a Giulia, la rivedo nel momento del nostro saluto “Sto andando a casa, la prossima volta porto il quaderno per prendere appunti”. Lei ride e mi dice “Aspetta! Ancora questa!”. Un altro scioglilingua, in milanese, mentre chiudo la porta della sua stanza e saluto i suoi occhi sorridenti e la sua risata strabordante di vita.