A tempo perso. Ammazzare il tempo. Chi ha tempo non aspetti tempo. Dai tempo al tempo. Guadagnare tempo. Il tempo vola. Tempi duri. Potrei andare avanti ancora e ancora. Quanti modi di dire abbiamo inerenti il tempo? Il tempo è l’ossessione del mondo in cui viviamo, con l’orologio sempre sott’occhio, attenti a non farci scappare nemmeno un secondo (a perdere tempo, appunto).
Proprio questo è il tema di fondo del libro di Mitch Albom, “L’uomo che voleva fermare il tempo”. Protagonista è Dor, che ai primordi dell’umanità – ai tempi della torre di Babele – è ossessionato dalla possibilità di misurare il tempo, di conoscerne i meccanismi, di controllarlo. Per questo suo desiderio di potere, Dor verrà rinchiuso in una caverna, privato della possibilità di invecchiare di un solo momento: diventerà l’incarnazione del “Padre Tempo”. Dopo aver pagato per migliaia di anni la sua colpa, l’unica possibilità di liberarsi dal fardello della sua immortalità è legato ai destini di Sarah e Victor. La prima è un’adolescente tormentata che desidera accorciare il suo tempo sulla Terra, l’altro un miliardario alla fine dei suoi giorni col desiderio di eternità. Ad entrambi Dor dovrà riuscire ad insegnare l’importanza del valore del tempo.
Solo l’uomo misura il tempo, e ascolta i rintocchi dell’orologio.
E, a causa di questo, l’uomo è paralizzato da una paura che nessun’altra creatura deve sopportare.
La paura di non avere abbastanza tempo.
In una sorta di fiaba per adulti, Mitch Albom ci guida attraverso una narrazione asciutta ma evocativa in un percorso volto a riconsiderare la nostra ossessione per il tempo. Sarà per il momento in cui l’ho letto – al rientro da un viaggio da Bali, dove il tempo assume un altro significato – ma devo dire che nonostante l’argomento sia trattato con leggerezza mi ha fatto riflettere sul saper imparare ad apprezzare ogni istante di vita. Quindi il mio consiglio è: fate fruttare il tempo e ritagliatevi un po’ di tempo, di quello vero, per leggere questo libro.