Perdere un figlio è in assoluto il peggior incubo di un genitore, un’esperienza devastante sotto tutti i punti di vista, che riesce a mettere in discussione gli aspetti più profondi dell’esistenza: dalla relazione con il partner alla fede, passando attraverso la visione della vita sino all’identità stessa della persona. È uno strazio in qualunque momento, ma è ancor più paradossale quando accade in concomitanza con l’evento che per antonomasia simboleggia la vita, ovvero la nascita. Attraverso le parole di Francesca Brandolini, responsabile dell’area psicologia di VIDAS, e la testimonianza di mamma Caterina, abbiamo cercato di spiegare cos’è il lutto perinatale e come affrontare il drammatico evento della morte di un figlio appena nato o in procinto di nascere.
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Oltre alle tante gravidanze che si interrompono durante i primi mesi, dando luogo a quello che viene definito lutto prenatale, ci sono decessi che si verificano tra la ventisettesima settimana di gestazione e le prime settimane di vita e che aprono il doloroso capitolo del lutto perinatale.
Si tratta di una perdita potenzialmente più dolorosa e complicata perché i genitori avevano già “incontrato” quel bambino durante le ecografie, ascoltato il suo battito cardiaco, probabilmente già scelto il nome, percepito i calci nella pancia e coinvolto gli altri fratellini. Da figlio sognato e desiderato si era ormai trasformato in figlio percepito, concreto, pronto ad affacciarsi al mondo e a tendere la mano per essere accompagnato lungo il sentiero della vita.
Il rapporto con un figlio e il legame di attaccamento non iniziano al momento della nascita ma germogliano molto prima e questo è ancor più vero per la madre, che di quel bambino durante la gravidanza diventa custode e culla. Quando tutto questo termina all’improvviso i genitori si trovano a vivere un’esperienza di dolore totale che difficilmente può essere compresa da chi non ha attraversato la stessa sorte. “Vedrai, arriverà il tempo per un’altra gravidanza…”, “Se proprio doveva succedere, meglio adesso che più avanti…” possono essere maldestri tentativi consolatori da parte di chi quel bambino lo avevano solo immaginato e che, di fatto, fanno piombare i genitori in un baratro di solitudine e incomprensione.
È dunque fondamentale che i genitori, ma anche gli eventuali fratelli, abbiano l’opportunità di affrontare il lutto affidandosi a persone competenti ed empatiche, con cui trovare uno spazio di ascolto e di supporto e potersi sentire sostenuti ed accuditi in un momento in cui, soprattutto per le mamme, scivolare via con il proprio bambino è l’unica cosa che si vorrebbe davvero.
Le fasi del lutto perinatale ricordano per molti aspetti quelle proprie della perdita di una persona cara, in cui, dopo un iniziale momento di incredulità e negazione, si alternano momenti di depressione a rabbia (“perché proprio a me!”), spesso accompagnati da un profondo senso di colpa (“cosa ho fatto per provocare la sua morte?”).
È comune, e anche comprensibile, che i genitori che hanno perso un bambino proprio quando stava per affacciarsi alla vita provino un senso di profonda invidia nei confronti degli altri neonati sopravvissuti, sentendosi allo stesso tempo profondamente sbagliati per questi “cattivi pensieri”, o addirittura sentimenti di ambivalenza nei confronti degli altri figli e del coniuge. L’intero nucleo familiare rischia di essere messo a dura prova da un evento del genere di fronte al quale pazienza, calore, garbo e rispetto, diventano le parole d’ordine.
La mente possiede capacità straordinarie di autoguarigione dal dolore e la presenza preziosa delle persone care in molti casi è sufficiente per aiutare la coppia ad approdare pian piano ad una condizione di accettazione, che in molti casi può anche riaprire il cuore e lo sguardo verso il desiderio di un altro figlio. Ma è importante che a ciascuno venga lasciata la possibilità di indicare qual è la modalità che sente migliore per sé in quel momento. Elaborare un lutto di questo tipo non significa in alcun modo dimenticare il bambino scomparso, ma imparare a collocarlo nel posto giusto della propria storia personale e familiare senza rimanere nell’attesa del suo ritorno, imparando ad utilizzare i ricordi per restituire dignità e memoria a quella vita interrotta in maniera così prematura.
E quando ci si rende conto che gli affetti non bastano, occorre sapere di poter fare affidamento sui gruppi di auto-mutuo-aiuto, in cui confrontarsi con chi ben conosce il sapore di quelle lacrime, oppure ricorrendo a professionisti specializzati nel supporto al lutto, che possano accompagnare i genitori e la famiglia per un tratto del loro cammino, aiutandoli ad integrare la perdita con un possibile sguardo sul futuro.
Caterina e Sergio sono i genitori di Maria Rita, una bambina affetta da Trisomia 18, una sindrome genetica molto rara e incompatibile con la vita. Dopo la diagnosi e la dimissione dall’ospedale, tutta la famiglia è stata accolta in Casa Sollievo Bimbi, luogo in cui mamma, papà e fratellino hanno potuto vivere alcuni momenti di normalità insieme alla piccola prima che andasse via.
In questo video, Caterina ci racconta la sua esperienza e il fondamentale supporto, sia psicologico che clinico, ricevuto dall’équipe VIDAS nell’affrontare tutte le diverse fasi di questo doloroso evento.