Christian De Lorenzo
Dottore di ricerca in Medical Humanities, formatore e insegnante universitario di medicina narrativa, consulente letterario in ambito sanitario, traduttore di Rita Charon e Arthur Frank
“Presso VIDAS abbiamo svolto un percorso di base di quasi un anno sulla medicina narrativa, una disciplina definita dalla sua fondatrice – l’internista americana e studiosa di letteratura Rita Charon – come una medicina praticata con le competenze che ci permettono di riconoscere, recepire, interpretare le storie di malattia e reagirvi adeguatamente (nel libro fondamentale Medicina narrativa del 2006).
Concretamente, durante la formazione, sono stati forniti alcuni strumenti specifici, dal close reading o lettura accurata alla cartella parallela (dove ci si può esprimere alla prima persona in merito alle relazioni di cura), passando per la scrittura creativa, espressiva e riflessiva. Abbiamo attraversato generi come il racconto, il romanzo, la lettera, il diario e la poesia, senza dimenticare l’immagine e la musica. Di questi strumenti e di queste storie gli operatori nell’ambito della sanità possono appropriarsi, magari generando quel processo che l’antropologa Cheryl Mattingly chiama indigenizzazione, e cioè integrando le modalità narrative in un contesto che, mentre le fa proprie, le modifica in base a valori e codici.
I laboratori mensili hanno costituito uno spazio di formazione dove, in gruppo, si sono sperimentate tre attività di base – la lettura accurata, la scrittura su invito e la condivisione ad alta voce – per rafforzare i tre aspetti fondamentali delle competenze narrative: l’attenzione, la rappresentazione, la connessione. Tutto ciò produce risultati in termini di capacità di prestare ascolto a sé e agli altri, di benessere personale, di team building e di miglioramento delle relazioni interprofessionali.
Per alcuni effetti di sistema non sempre si vede la narrazione all’opera nella cura. Ma c’è. Basta trovare il modo di farla circolare ancora di più. E usare parole diverse dal solito può aiutare, ampliando gli orizzonti narrativi.
Credo che questo percorso abbia anche offerto la possibilità di conoscersi meglio. Lentamente, le persone si sono autorizzate a parlare e parlarsi con intimità, disponibilità, apertura: un catalizzatore di legami che possono essere molto profondi e contribuire alla qualità delle cure”.