La valutazione della complessità assistenziale parte dall’assunto imprescindibile che l’assistenza infermieristica vada misurata sulla base dei bisogni del paziente nella sua globalità, più che tempi di assistenza dell’infermiere. Alle misurazioni scientifiche e cliniche vanno però aggiunte le variabili sociali e psicologiche, che soprattutto nell’ambito delle cure palliative, assumono una particolare rilevanza e determinano il grado di complessità di un paziente. Grazie al contributo di alcuni infermieri delle équipe VIDAS, capiremo meglio le caratteristiche della complessità assistenziale dei pazienti malati inguaribili, e la differenza tra assistenza in hospice e a domicilio, rispetto a questo criterio.
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Non esiste una definizione univoca di complessità assistenziale, perché questo concetto può essere espresso secondo vari modelli interpretativi: da un punto di vista clinico, si riferisce ad una valutazione multicriterio del lavoro dell’infermiere, basata sui bisogni assistenziali del paziente. Attraverso l’individuazione di indicatori misurabili, replicabili e oggettivi è infatti possibile misurare il livello delle prestazioni sanitarie erogate, tracciare le attività e le eventuali criticità.
Negli anni si sono sviluppati diversi metodi per misurare il livello di assistenza infermieristica. Tra questi c’è l’Indice di Complessità Assistenziale (ICA), un modello innovativo che misura in modo integrato i bisogni del paziente, guida l’infermiere sullo stato di gravità della sua condizione clinica e quindi sulla prestazione infermieristica da fornire.
L’I.C.A. si basa sulla valutazione oggettiva di 11 prestazioni assistenziali e su cinque livelli di autonomia del paziente.
Gli 11 bisogni assistenziali sono:
I cinque livelli di autonomia partono dal Livello 1 di completa autonomia fino al Livello 5 di completa dipendenza. A ciascun livello, quindi, corrispondono un diverso intervento e tipo di prestazione.
L’identificazione di un livello di prestazione permette di definire le migliori azioni da intraprendere in base alle esigenze del paziente. Inoltre, la somma dei punteggi dei livelli di autonomia inseriti negli 11 bisogni assistenziali fornisce l’Indice di Complessità Assistenziale complessivo e quindi la Classe di Gravità (CdG) secondo la seguente scala:
Fin qui abbiamo raccontato per sommi capi uno dei tanti approcci scientifici al concetto di complessità assistenziale. Ora passiamo al punto di vista più diretto degli infermieri che ogni giorno sono al fianco delle persone con malattie inguaribili e che meglio di chiunque altro possono spiegarci in cosa consiste la complessità nella gestione delle loro attività e dei bisogni dei loro pazienti. Ne abbiamo parlato con Ermes Schiocchet, infermiere e responsabile del setting domiciliare ed Emanuela Lucchi, infermiera e referente della formazione infermieristica domiciliare per quanto riguarda l’assistenza a domicilio, e con Lia Biagetti, infermiera e responsabile del setting degenza e Nadia Tosi, infermiera della degenza, per un’opinione sulla complessità assistenziale in hospice.
Ermes Schiocchet ed Emanuela Lucchi si sono focalizzati sulla differenza tra complicato e complesso per spiegare meglio le difficoltà che riscontrano nel loro lavoro di infermiere a domicilio. Emanuela ci spiega:
“Già da un punto di vista etimologico c’è una diversità tra complesso e complicato. Complicato va a indicare qualcosa che è piegato tante volte, complesso invece indica un intreccio, una trama. Relazionarsi con una persona vuol dire sempre avere a che fare con una complessità, se poi questa persona è anche un malato che si sta affacciando alla fase finale della sua vita, la sua trama diventa ancora più complessa”.
Ermes specifica meglio:
“Complicato ha una polarità negativa, mentre complesso ha una polarità positiva. Costruire la complessità aiuta a risolvere la complicatezza dei problemi che incontriamo nel lavoro. In ogni situazione va messo in evidenza ciò che è complicato e ciò che è complesso, utilizzando la complessità per risolvere ciò che è complicato.
Per questo il lavoro di équipe è fondamentale e sul campo è importante avere peculiarità diverse che possano intervenire per risolvere dei problemi. Avere tanti punti di vista, che vengono però condivisi, sulla complessità aiuta”.
Per riuscire a risolvere la complicatezza attraverso la complessità è però necessario avere un’ottima preparazione professionale e una struttura adeguata che sia in grado di supportare le diverse esigenze che emergono ogni giorno. Continua Emanuela:
“Per semplificare bisogna essere persone formate, preparate, ma anche disponibili ad assumere quella forma adeguata in quel contesto particolare, con quella persona, con quella famiglia, in un tempo definito. A sua volta anche VIDAS è una struttura complessa, ha più livelli, e come una cordata, il livello più indietro deve lavorare per semplificare il lavoro del successivo, semplificando problemi e permettendo agli operatori di occuparsi della complessità”.
E infine conclude Ermes, ricordando gli aspetti complicati dell’assistenza a domicilio, semplificati dall’esperienza e la qualità del lavoro di VIDAS:
“Le cose complicate sono il traffico, le condizioni abitative, case piccole e con ambienti non adeguati ad inserire dei dispositivi ad hoc, la relazione con i caregiver, il territorio vasto e quindi la richiesta agli operatori di fare lunghe distanze. In questo l’organizzazione di VIDAS prova a rendere tutto meno complicato, ad esempio mettendo a disposizione operatori che diventano un punto di riferimento fisso per un paziente. E questo, ad esempio, rende le cose meno complicate per il familiare e per il paziente che hanno un unico punto di riferimento. Un altro aspetto riguarda il trasporto degli ausili e presidi gestito direttamente da VIDAS per fare in modo che arrivino a casa del paziente in tempi brevi. L’organizzazione di questo servizio è complessa ma permette di risolvere delle situazioni complicate”.
Lia Biagetti e Nadia Tosi sono concordi nell’affermare che, nonostante esistano scale di rilevazione scientifiche, solo in base all’esperienza sul campo è possibile definire cosa rappresenti nel concreto la complessità assistenziale all’interno di un hospice.
In tal senso, Lia spiega bene la sua idea di complessità assistenziale:
“Si assiste ad una complessità assistenziale quando un setting non è più idoneo al paziente e alla sua famiglia e il cambiamento comporta l’adeguamento a nuove regole e comportamenti. L’intera équipe, tenendo conto di quanto sopra, deve trovare la miglior soluzione possibile che garantisca al paziente l’ascolto delle sue volontà e un’assistenza adeguata alla nuova situazione per accompagnarlo con dignità fino alla fine.
Nelle schede che rilevano la complessità è di solito presente l’Indice di Complessità Assistenziale che risponde quasi sempre a dei parametri prettamente di natura clinica. A mio avviso però analizzare la situazione solo da un punto di vista clinico è riduttivo: è invece molto importante tutto quello che concerne la parte sociale e psicologica che a volte è difficilmente valutabile ma è quella che ha un’incidenza anche sui sintomi.
Le schede di valutazione sono importanti perché danno a tutti una base di partenza comune, ma poi è fondamentale analizzare la situazione e lavorare sulle sfumature che è quello che poi caratterizza le cure palliative”.
Un altro elemento fondamentale per la valutazione della complessità assistenziale in hospice è l’approccio olistico, individuato da Nadia in tre fattori principali:
“La complessità assistenziale in hospice può dipendere da tre fattori: il paziente e la sua patologia, la famiglia, l’équipe. Il ricovero coinvolge il paziente e il suo nucleo familiare (a differenza del ricovero ospedaliero) e questo di per sé presuppone una presa in carico complessa. Inoltre, il paziente entra in hospice in una fase critica della vita e molto spesso per un breve periodo, questo comporta un’ulteriore difficoltà assistenziale perché in un periodo così breve dobbiamo instaurare con famiglia e paziente una relazione di fiducia e compliance, pertanto la complessità assistenziale è in continuo divenire”.
Chiudiamo con una testimonianza di Lia, che ci racconta con un esempio pratico quanto sia complessa la gestione dei pazienti all’interno di un hospice:
“Portiamo ad esempio la storia di un paziente recentemente ricoverato in hospice che presentava una situazione sociale difficile per una vita borderline. All’insorgere della malattia veniva seguito a casa da un educatore, successivamente con il peggioramento clinico è stato necessario il ricovero. Il paziente, che per sua natura aveva abitudini e ritmi difficilmente compatibili con una vita in comunità, ha comunque dovuto imparare regole nuove per lui e adeguarsi ad orari e tempistiche ben precise; da parte nostra è stato necessario creare un ambiente adatto a soddisfare le sue necessità e ogni giorno ha comportato la creazione di una relazione su misura per lui, che gli ha permesso di aprirsi e affidarsi e ha consentito a noi di assisterlo al meglio.Questa breve analisi, che non è solo clinica, rappresenta per noi la complessità”.