Nonostante le sfide per garantire l’assistenza durante la pandemia, #VIDASnonsiferma: cambiano i modi di comunicare e si intensificano le precauzioni da prendere, ma non cambia la nostra presenza a supporto delle persone gravemente malate e delle loro famiglie.
Emanuela, infermiera VIDAS, racconta così il suo rapporto con Ilaria.
Ilaria è una donna giovane, madre, moglie e filosofa, che ha una malattia grave che la accompagna da nove anni. La malattia ha l’età di sua figlia; ma mentre a sua figlia si schiude la vita, la malattia si avvia a morire con il corpo di chi la porta.
Triste. Faticoso. E c’è pure il CoVid… Che fatica!Mesi di accompagnamento e di constatazione corale e accorata di ogni singola minima (e minuziosa) perdita. Una lunga scala in discesa che ora la vede fissa in un letto. Ilaria sembra spezzata: una testa viva su un corpo inanimato: come una di quelle bambole con la testa di plastica e il corpo di stoffa. Parla, ragiona, chiede, ma il corpo resta altrove. Sempre più difficile Stare, starle accanto, accompagnarla. Certo per i suoi, che comunque continuano a farlo egregiamente, ma un pochino anche per noi, che nel nostro piccolo fatichiamo ancora a veder morire le persone da vive, soprattutto giovani. Tutto sommato (sinceramente) quando “dormono” è più facile. Ma tant’è… questa è Ilaria e qui devo Stare io oggi. E – come sempre – ci sto.
In questi mesi, se tanto Dolore psicologico, emotivo e sociale a Ilaria e ai suoi non è stato risparmiato, almeno al dolore fisico non è stata esposta. Ora con l’allettamento, il corpo dà voce di sè e della sua permanenza con un po’ di dolore (neuropatico?): oggi c’è. “Da zero a dieci?”; “Quattro”. C’è. Una delle regole assolute di noi sciocchi palliativisti, è che il dolore per quanto piccolo va SEMPRE trattato. Tocca a me farlo. Subito.
Sento al telefono la dottoressa e concordiamo di iniziare con un piccolo cerotto a base di Morfina (12 mcg/h). È purtroppo diffusa l’idea che l’inizio della terapia con Morfina corrisponda “all’inizio della fine”, quindi proporla è sempre un po’ complesso. Io cerco di farlo sempre coniugando scienza e sorriso: è il mio modo, l’ho imparato nel tempo e – di solito – funziona. Ilaria è con sua mamma. Mi avvicino e spiego cosa sto per fare e di cosa si tratta (un po’ di scienza…). Aggiungo quello che dico quasi sempre quando inizio una terapia con oppioidi (il sorriso…): “All’inizio possono dare un pochino di sbandamento e di senso di leggerezza, ma poi passa. Mi dicono che sia come farsi una canna, ma io (purtroppo?) non ho mai provato ne la morfina ne le canne, quindi mi fido!”. A me piace far ridere e spesso penso che (parafrasando Chaplin) “una visita senza sorriso è una visita persa”… ma Ilaria mi supera anche in questo e dice: “Ah. Io le canne le ho provate un sacco di volte! Così poi ti dico della Morfina! Magari vedo draghi verdi!”. Già questo basta a noi due per farci ridere, ma si aggiunge la mamma che dice: “Ma non ci posso credere! Ti pare che debba scoprire ora (Sic!) che mia figlia si è fatta le canne? Io, che ho fatto l’insegnante e per anni ho detto agli studenti che farsi le canne fa male, ho covato una serpe in seno!”. Scoppiano a ridere. Ridiamo. Davvero. E io ci guardo da fuori (anche questo nel tempo ho imparato a fare..) e penso che tutto sommato va bene così. Sorrido tra me. Fotografo mentalmente questo “istante” semplicemente bello e sereno: incornicio la foto e la metto alle pareti delle stanze del mio cuore. Sono belle queste stanze, ricche, colorate e piene.
Sono fortunata. Faccio un lavoro a tratti faticoso (soprattutto oggi, filtrato da guanti, mascherine e DPI vari…), ma meravigliosamente ricco di vita. Istanti, ma di vita vera. Istantanee che mi fanno sorridere e mi sussurrano che la vita va goduta sempre: che ogni istante ha il diritto di diventare istantanea. Bello. Grazie.
C’è anche Graziella, infermiera. Anche lei portavoce di una storia che l’ha coinvolta molto emotivamente. Ascoltiamola in questa videotestimonianza.