Oliver Sacks, grande neurologo, grande scrittore ci ha lasciati il 30 agosto scorso. La malattia trasformata in uno straordinario potenziale creativo e il senso dell’unicità del malato quale soggetto che soffre, ma sa anche attingere a insperate risorse e vincere, sono i temi sviluppati in questo appassionato ricordo da Batilde Bacci, docente di Scienze Umane al Liceo Statale Virgilio di Milano che ringraziamo per il pezzo e speriamo di riavere presto tra le nostre voci.
Tutto in Oliver Sacks era straordinario: la sua famiglia, le sue esperienze, i suoi interessi, il suo coraggio e la sua passione. Mi piaceva ricordare di lui che era stato in analisi per 37 anni e con il medesimo analista.Lo stesso analista che una volta non aveva riconosciuto per strada a causa della sua “prosopagnosia”.
Il suo bisogno di capirsi e capire, di raccontarsi e di raccontare trovava supporto anche nel suo analizzarsi e rianalizzarsi per mezzo di un sapere come la psicoanalisi che pone nella parola e nel racconto di sé la sua centralità. Era il bisogno di conoscere da vicino e dall’interno di una relazione.
L’aspetto che ora, dopo la sua morte e dopo aver molto pensato e riflettuto sulla sua opera, mi colpisce maggiormente è la sua capacità di cogliere dai disturbi e dalle malattie la possibilità di ottenere sviluppi e risorse che senza la malattia non sarebbero mai venuti alla luce. Per lui il paradosso della malattia è il suo potenziale creativo. Lo aveva scoperto da sé quando fu costretto ad usare la mano sinistra essendo destrimane, dopo un’operazione alla spalla destra che gli impediva di usare braccio e mano da quel lato. La situazione nuova e disturbante lo aveva presto costretto ad adattarsi e ad usare la mano sinistra e persino le dita dei piedi.
Gli eventi che danneggiano una parte del corpo possono trasformarsi in eventi creativi che ci spingono a trovare nuove strade e a scoprire in noi nuove potenzialità. Ecco l’idea ritrovata e riconfermata in tante storie di pazienti: se sappiamo trasformare il meno del deficit nel più della compensazione allora il cervello non è statico, ma adattativo, efficiente, dinamico e attivo in sommo grado.
È mirabile quest’idea della grande plasticitàdel cervello che sa sempre adattarsi e trasformarsi. Il potenziale creativo della malattia richiama l’immagine di Karl Jaspers sulla creatività che nasce dalla patologia. Il genio creativo è come la perla che la conchiglia genera reagendo ad un corpo estraneo che la ferisce. La conchiglia non avrebbe mai potuto generare il perfetto prodigio della perla se un male non l’avesse colpita. Cosi nel malato, secondo Oliver Sacks, il danno della malattia ha dato vita ad una trasformazione e a stati alternativi dell’essere sorprendenti ed impensabili.
Ecco che ritornano i temi dell’esplorazione di sé e di realtà fortemente alterate che hanno guidato tutto il suo percorso di studioso, “naturalista ed esploratore del cervello”.
Un altro aspetto che fa capire il suo legame con la psicoanalisi è quello dello storytelling dei suoi pazienti. Sacks riprende una tradizione passata che portava il medico a conoscere la storia del paziente, a non limitarsi ai sintomi e alla letture delle analisi di laboratorio. Le sue storie di casi sono un’attenta ricerca del senso e della reazione del paziente alla malattia. Il soggetto umano che soffre deve portarci a conoscerlo nel suo profondo vissuto. Il malato è quella persona particolare unica, che soffre, si dispera, si abbatte, ma anche lotta, trova risorse e può anche vincere. È quasi un eroe che affronta il suo nemico e, quale sia il suo destino finale, rappresenta una narrazione per lui e per chi lo circonda.
Oliver Sacks conosceva bene il valore di questa lotta e della capacità di vincere il buio che abbiamo dentro. La sua esperienza nel collegio di Braefield, dove era stato mandato insieme con il fratello Michael, fu mostruosa per la crudeltà del preside e per le privazioni subite. La scelta della sua identità di genere e il suo uso di anfetamine e LSD furono altre prove che seppe volgere al meglio. Su tutto questo apprese a lottare e vincere.
Sulla sua omosessualità sofferta scopriremo di più dopo la pubblicazione del suo libro postumo “In movimento”. Sull’uso delle anfetamine ha detto e scritto: gli hanno permesso di entrare nel misterioso mondo delle allucinazioni, provandole lui stesso, e sapendo poi liberarsene.
Resteranno sempre di lui i suoi libri, le sue stimolanti provocazioni e soprattutto la sua lezione più condivisibile: per aiutare il malato lo si deve ascoltare a lungo, dar vita alla sua storia e dare senso alla sua esistenza.