In VIDAS è diventata parte di un codice comune un’espressione che, da appannaggio delle sole pedagogiste e psicologhe, oggi identifica (anche per chi si occupa di comunicazione) gli interventi che puntano ad ‘avvicinare’ il tema tabù della perdita: pedagogia della finitudine.
Anche per i ‘non sanitari’ è ormai condiviso che la vita è costellata di perdite e separazioni più o meno drammatiche e irreversibili e che ogni passaggio evolutivo – dall’in-fanzia all’adolescenza alla maturità – richiede di accogliere in forma consapevole, ovvero integrare, un passato come epoca di tratti distintivi che non tornerà più, almeno in quella forma. È la condizione che rende possibile di apprezzare, al massimo grado di pienezza, il presente e essere pronti al futuro. Ciò che fa del cambiamento un’occasione di crescita.
Abbiamo raccolto lo scambio di impressioni tra Marta Scrignaro, educatrice VIDAS, Francesca Brandolini, psicologa VIDAS, e Maria Beverina, docente IC Riccardo Massa e pedagogista, a valle del percorso di pedagogia della finitudine proposto agli alunni di quinta nel quartiere Gallaratese.
Maria Beverina: “Un elemento di bontà non trascurabile è stato di poter co-progettare l’intervento e tagliare la proposta su misura. Ha richiesto tempo ma questo tema, veramente difficile, è stato portato a scuola in forma efficace e profonda. La perdita investe tutti noi e le situazioni sono così diverse che spesso non si sa, da insegnanti e come persone, come trattarle. Questo progetto, sviluppato su binari molto aperti, ha funzionato bene e le resistenze che avevamo supposto di incontrare non ci sono state – anzi. Quello che ne deduco è che siamo partite da un bisogno autentico e abbiamo trovato la chiave più adatta proprio nel coinvolgimento dell’intera comunità educante, insegnanti e genitori, scuola e territorio. La proposta è stata discussa e aggiustata e le figure VIDAS hanno raccolto obiezioni e timori, modificando e riadattando.”
Francesca Brandolini: “È stato così. Su un progetto in qualche modo codificato è stato fatto un lavoro sartoriale. Penso ai genitori, di cui abbiamo rispettato le difficoltà, così che chi ha accolto la proposta ha avuto un’occasione di condivisione col proprio figlio. Un’attività fatta in classe si è tradotta in una dimensione familiare dove, forse, per la prima volta si è parlato di questi temi.”
Marta Scrignaro: “Nello stesso tempo, io credo che i bambini abbiano capito che, nel caso vogliano proteggere i loro genitori, possono trovare anche fuori spazi di condivisione. Ci sono stati momenti di un’intimità fortissima tra compagni, e di altrettanto rispetto, con una capacità di ascolto e accoglienza, darsi supporto e consolazione, anche fisica, senza parole, semplicemente andandosi a sedere accanto a chi in quel momento stava piangendo, di una qualità straordinaria.
Questo laboratorio ha insegnato ai bambini come di queste cose si possa parlare e quanto è bello condividerle. Possono dirsi, Non sono il solo con questo fardello sul cuore, Non sono l’unico con il magone all’idea di lasciarvi e, allo stesso tempo, che la prospettiva del cambiamento fa anche felici, e non vedere più alcune persone è liberatorio. Il gruppo ha il potere di rendere le cose esprimibili, anche quelle scomode, e dolorose.
MB. Correggo e integro quanto dicevo sopra. Non abbiamo interpellato i bambini prima di entrare nella loro classe ma li abbiamo tutelati. Marta, Anna e Francesca hanno verificato se ci potesse essere qualche alunno che, per un motivo o l’altro, era meglio non ricevesse certi messaggi e come portarli in ogni classe.
MS. Devo ammettere che l’impressione che mi hanno rimandato i genitori è che fossero sollevati che si parlasse di questo tema, e se ne parlasse a scuola. La restituzione post laboratorio lo ha confermato, i genitori erano emozionati e hanno raccontato di aver ripescato i ricordi della loro quinta elementare, rassicurando i figli di aver vissuto il distacco con la stessa preoccupazione.
MB. Anche negli insegnanti il distacco genera frustrazione. E finalmente abbiamo potuto esternarla, in forma interessante perché collegiale e condivisa. La quinta elementare rappresenta un momento di congedo da una forte ‘responsabilità educativa’. È un elemento delicato e molto presente nella scuola primaria: ogni educatore investe moltissimo su bambini di cui si segue lo sviluppo per anni lunghissimi e da cui si è obbligati a staccarsi – senza sapere cosa avverrà di loro dopo. Bisogna accettare il fatto che di questi ragazzini, di queste persone si potrebbe non sapere più nulla. Quest’anno abbiamo potuto lavorare sul passaggio, sull’importanza di ritualizzare la perdita. È bello avere gli strumenti per farlo.
Questo articolo è stato pubblicato sul Notiziario di VIDAS.
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