Il nuovo libro di Giada Lonati è una testimonianza preziosa per imparare il valore della cura: per chi la offre e per chi la riceve. Con l’introduzione di Ferruccio de Bortoli.
Indice
La radice rimanda a cuore, la medicina cura il malato nel fisico, ma il cuore è fondamentale per la persona, è dal cuore che escono le parole giuste, gli sguardi attenti, gli atteggiamenti amorevoli che curano e rassicurano. La cura è dentro al verbo rassicurare. E rendere sicuro. La sicurezza è una condizione di libertà e salvezza. Per chi è malato, per chi è bisognoso, per chi è straniero in una terra straniera o in un corpo ormai estraneo. Chi cura costruisce ponti con il resto dell’umanità, reagisce alla sofferenza e al male e arriva a conoscere in profondità gli altri e se stesso: avere cura degli altri vuol dire anche avere cura di se stessi.
I valori di una società si misurano da come assiste le persone più bisognose.
Il libro esce in occasione dei 40 anni di VIDAS e Giada Lonati, la nostra direttrice socio-sanitaria, ci racconta cosa vuol dire, nel suo significato più profondo, prendersi cura di qualcuno. Lo fa attraverso le sue esperienze. Una storia fatta di tanti incontri e di tante persone, uomini e donne, anziani e giovani, padri, madri, fratelli, figli che insieme a lei e a tanti altri personaggi come volontari, medici, infermieri si trovano di fronte al mistero dell’ultimo tratto di vita. È un libro pieno di energia positiva perché oltrepassa lo stato del dolore fisico, per andare all’essenza del rapporto tra esseri umani, in cui la dimensione dell’ascolto diventa capacità di esplorare tanti mondi e di imparare tanti linguaggi diversi quante sono le persone con cui ci si confronta.
Con garbo infinito e un profondo rispetto ci fa capire che nell’accudimento di una persona bisognosa di cure, nei gesti che compiamo (e che dobbiamo imparare a compiere), nelle parole che diciamo (e che impariamo a cercare nel nostro io più autentico e a formulare nel modo più consono), in primo luogo c’è sempre il dialogo tra due persone uguali, che arricchisce e migliora l’una e l’altra, e che per cerchi concentrici si allarga alla società intera.
Perché prendersi cura di qualcuno, un bimbo, un vecchio, un malato, un immigrato cura in primo luogo chi si dedica all’altro, lo arricchisce e lo rende forte. Prendersi cura dell’altro, quali che siano le sue necessità, fa del bene a noi. Nessuno si salva da solo e tutti insieme possiamo salvare gli altri e con essi anche il pianeta. Tutti abbiamo bisogno di aiuto prima o poi e tutti possiamo aiutare. È solo stabilendo questa catena di solidarietà, la vera essenza del nostro essere umani, che possiamo sperare di costruire un presente e un futuro degni di essere vissuti per tutti.
Presentare una verità senza distorcerla è quanto riesce a Giada in questo viaggio entro un’umanità alla quale è legata da una carica vitale che le fa scrivere una frase emblematica: “faccio il mestiere più bello del mondo, perché mi dà modo d’incontrare la finitezza delle cose, vedo che ogni giorno terminano anche le vite che si vorrebbero destinate a grande immortalità, della quale poco importa quando si è carichi di una profonda saggezza di corpo e spirito.”
Giada ci prende per mano e ci conduce sul sentiero dell’esperienza quotidiana, partendo entro le mura che accolgono i suoi affetti per poi varcare altre soglie per “cercare il bene nascosto nelle pieghe della vita”, ponendosi in ascolto dell’altro e costruendo un legame di reciprocità.
Scelta improba, tra le tante storie proposte, è selezionare un frammento che testimoni più di altri lo sforzo quotidiano che le spetta di guardare al dolore di chi incontra. Forse nelle emblematiche figure della moglie dell’arcigno Tommaso, di Pietro, di Nando è raccolta la lezione di vita che Giada ricava (usiamo di proposito il presente) dal suo cammino a fianco dei malati.
Giada non dimentica le sofferenze imposte dalla stagione del Covid che hanno fatto crollare il ponte invisibile teso tra noi: chi si trova sul crinale della vita si vede negato anche il contatto, la lettura ravvicinata di un volto di cui possa cogliere le espressioni, le sfumature.
In questo modo Giuseppe Ceretti ci descrive il viaggio del libro e, in primis, dell’autrice.
Giada Lonati, medico, si occupa di cure palliative dal 1995. Dal 2010 è direttrice sociosanitaria di VIDAS. Ha uno specifico interesse per la bioetica, in particolare per le sue declinazioni nel fine vita. È autrice di L’ultima cosa bella e di Biotestamento.