Confesso: per Eugenio Borgna, psichiatra di livello raro, oggi in rotta verso gli 85 anni, ho, abbiamo in molti, un amore. Non solo per quel che dice nella dozzina e più di libri pubblicati (per Feltrinelli), ma anche per come lo dice. Il suo piglio cordiale e limpido ‘racconta’, come fosse davanti a ‘non competenti’ (modalità così istruttiva a volte per i ‘competenti massimi’…), senza scivolare mai, peraltro, nella trappola del ‘ricettario per farti vivere meglio’ adottata spesso da sciaguratissimi testi pseudo-psicologici. Le sua capacità di empatia e di narrazione vera, e quelle di invenzione e provocazione, sono così ricche e ben gestite che ogni libro è un invito: a pensare, e scartare di lato, provare altre parole, altri pensieri.
Noi siamo un colloquio, uno dei tanti bellissimi volumi che ha scritto, credo possa far riflettere sull’apparente contraddizione (di sicuro acustica: le leggi della fisica valgono sempre) tra parola e silenzio. Nella vita di tutti i giorni, il silenzio sembra essersi trasformato in un mostro terrificante: radio, musica, notizie, schermi tv abitano stazioni, supermercati, mezzi pubblici, negozi e in genere i punti d’incontro. Ne parlava già Giuseppe nel suo post di un paio di anni fa. Eppure in molti lo desideriamo: un po’ più di silenzio.
Qui, nello specifico, ho cercato uno spunto circa il ‘lavoro’ del silenzio e/o della parola nei confronti di chi ci sta vicino e soffre. Spero che questi due brevi testi creino qualche curiosità, e perché no qualche sorpresa. Eugenio Borgna, che come altri (umilmente me compresa) è praticante di nessuna religione, cita però il pensiero di Romano Guardini, teologo e scrittore cattolico tra quelli che più impronte hanno lasciato anche nella divulgazione letteraria.
Ormai ve ne siete ben accorti, del mio ‘vizio’ di proporvi testi e musica e immagini, e un metodo volutamente non c’è: sono divagazioni, o associazioni, o contrapposizioni, miscugli di ‘esperienze sensoriali’ provate ‘in veste di’ scrittrice, musicista, lettrice. Naturalmente è tutto molto personale, e chissà se vi piace. Ho scelto per i due testi di Borgna/Guardini un ‘pezzo forte’ della nostra memoria musicale. È la PFM, Premiata Forneria Marconi, nella primissima versione di Impressioni settembre – addirittura un 45 giri del 1971, suono analogico! – ,
immaginando che possa parlare di silenzio con parole e musica di straordinario contatto ancora oggi. Poi c’è Malika Ayane con un brano del 2008, Moon. Apparentemente tutto il contrario del silenzio, o forse sono le superfici fredde della luna, la voce ipnotica, la melodia semplice e un po’ ossessiva, a rimandarlo. Ma ditemi voi…sarei contenta che ne parlassimo.
Non c’è espressione umana che non sia portatrice di comunicazione. La parola, certo, ma anche il volto e lo sguardo (…) dicono o accennano qualcosa. Ma la mancanza della parola, il silenzio, ha ancora in sé una virtualità comunicativa e una dimensione di senso? Cosa si nasconde in un silenzio, in uno sguardo che sostituisce la parola e si fa indicibile: si pietrifica in una condizione di silenzio? Cosa si anima, cosa vive, nella persona che ho dinanzi a me, sana o malata, triste o (almeno apparentemente) gaia, disperata o felice? Non riesco ad avvicinarmi agli altri, a un’altra persona, se non conosco (se non cerco di conoscere) l’effimera, ostinata realtà del silenzio.
EUGENIO BORGNA, Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, 1999
Joseph M. W. Turner (1775-1851)
La valorosa Téméraire (1838)
Cose, ancora una volta abbaglianti, nella loro umana profondità sono quelle che Romano Guardini ha scritto sulla fenomenologia del silenzio.
‘La parola è una delle forme fondamentali della vita umana; l’altra forma è il silenzio, ed è un mistero altrettanto grande. Silenzio vuol dire non soltanto che non si dice una parola o non si estrinseca un suono. Questo soltanto non è silenzio; anche l’animale è capace di tanto, e più ancora lo è un sasso. Silenzio è invece ciò che si verifica quando l’uomo, dopo aver parlato, ritorna in se stesso e tace. Oppure quando egli, potendo parlare, rimane zitto. Tacere può soltanto chi può parlare’; e ancora: ‘Parlare significativamente può soltanto colui che può anche tacere, altrimenti sono chiacchiere; tacere significativamente può soltanto colui che può anche parlare, altrimenti è un muto. In tutti e due questi misteri vive l’uomo; la loro unità esprime la sua essenza.
EUGENIO BORGNA, Noi siamo un colloquio, Feltrinelli, 1999