Succede. Momenti che ci investono con un affondo brutto: densi, troppo densi, e troppo bui, se riguardano la sofferenza. Barcolliamo, a volte cadiamo, e se va bene non ci facciamo troppo male. È storia di ognuno di noi, ciascuno con i propri modi. Chi più protetto, chi più ‘attrezzato’, chi meno. Resta una prova dura, insopportabile spesso. Studi scientifici accurati e utili ci aiutano a riconoscere una traccia che ci riguarda, e se possibile qualche “via di scampo”. Qualcosa, comunque, riusciamo a capire se ci ascoltiamo con un orecchio un poco attento. Non discipline yoga, non meditazione, non credo religioso, nessun tipo di modello “new age”, quello che provo a dire. Vorrei dire solo che concentrarci anche per pochi minuti in parole, immagini, musiche, creazioni speciali di creature speciali, può davvero cogliere un volo, un momento, in cui la sofferenza vira in altro. Forse si attenua; oppure ci racconta una specie di “senso” che poi riviviamo in qualche modo. Ciascuno nel proprio, sempre. Spero che leggere queste tre cose possa essere utile: la bellezza è davvero, ma davvero, una “cura”.
Niente di più straziante che una voce amata e stanca: voce estenuata, rarefatta, per non dire esangue, voce che viene da in capo al mondo, che va ad inabissarsi in remotissime acque fredde: essa sta per scomparire, così come l’essere stanco sta per morire: la stanchezza è l’infinito, la cosa che non finisce di finire. Questa voce breve, corta, quasi sgraziata a forza di laconicità, questo quasi niente della voce amata e distante, diventa dentro di me un groppo gigantesco, come se un chirurgo mi stesse ficcando a forza nella testa un grosso tampone di cotone.
ROLAND BARTHES, Frammenti di un discorso amoroso (Einaudi, 1979)
Antonello da Messina (1430-1479), Cristo alla colonna (1476)
Morte è il pieghevole corteggiatore
che vince alla fine.
E’ un viaggiatore furtivo
condotto sulle prime
per pallide insinuazioni
e oscuri avvicinamenti:
magnifico alfine di trombe
e un equipaggio a due posti
che ti rapisce in trionfo
a nozze sconosciute –
a parentele vibranti
come le porcellane.
CRISTINA CAMPO, La tigre assenza (Adelphi, 1991)
Pablo Picasso (1881-1973), Donna piangente (1935)
Osservo il dolore (per l’ennesima volta!). Sempre le stesse leggi fisiche: i giorni prima, l’accesso, la gradualità, la crisi. Non è mai arrivato, in me, alla morte, e cioè non è mai successo che l’anima morisse! Il dolore, per me, è ormai una rotaia – con difficoltà, ma ci sono entrata.
MARINA CVETAEVA, Il paese dell’anima, Lettere 1909-25 (Adelphi, 1988)