Come ogni anno negli ultimi sette, abbiamo celebrato la conquista di una legge sul fine vita nel suo spessore etico e libertario, con una riflessione aperta e all’incrocio di sguardi diversi. La palliativista inglese Kathryn Mannix, il filosofo Carmine Di Martino e la ‘nostra’ Maura degl’Innocenti, medico VIDAS e responsabile dello sportello biotestamento, hanno costruito una densa riflessione sulla nostra mortalità e sul diritto a come essere curati e, allo stesso tempo, sulla responsabilità nei confronti di quelli che amiamo e della società.
L’avvio dell’incontro è stato dato da Kathryn Mannix, medico palliativista oggi in pensione e autrice molto attiva, che ha riaffermato come la redazione del proprio testamento biologico – living will, in inglese, ossia volontà vivente, e non per caso – sia un atto di affermazione dei propri valori, la possibilità positiva di manifestare la nostra personale visione del mondo.
“Dovremmo chiederci se ascrivere la pianificazione anticipata delle cure ai diritti umani. Le cure che le persone ricevono alla fine della loro vita corrispondono a ciò che conta di più per loro”.
Eppure, la morte resta un tabù: “Quando le persone si preparano a morire, redigono un testamento e immaginano il loro funerale, senza porsi la domanda di come desiderino vivere la loro ultima esperienza”. Perciò è necessario promuovere il dialogo e costruire una rete di supporto sempre più fitta tra medici, pazienti e familiari.
Carmine Di Martino, ordinario di Filosofia morale alla Statale di Milano, si è soffermato sulle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) come atto auto-etero-biografico: “Non siamo nati per nostra decisione né parliamo una lingua scelta da noi, non abbiamo abitudini né modi di pensare da noi stabiliti. È un piccolo paradosso poter decidere anticipatamente dei trattamenti sanitari futuri. Né è mai semplicemente una scelta nostra, ma una possibilità inscritta nell’appartenenza a questo nostro mondo ‘occidentale’, un atto di etero-determinazione – cosa che non lo invalida, beninteso, ma ce lo fa vedere nella sua dipendenza da altro [una cultura] e altri [gli estensori della legge].
La nostra autobiografia è, in effetti, scritta a più mani, nel legame con gli altri e nell’orizzonte di affetti che annodano la nostra vita al senso. Una vita perfettamente autonoma sarebbe affatto insensata. La mia vita vale perché è rilevante per un altro, al cospetto di, per la chiamata, l’elezione, lo sguardo, l’amore dell’altro. Questo ha grande rilievo tanto nell’esperienza del dolore quanto nel modo di decidere della nostra fine, di disporre di noi”.
Maura degl’Innocenti, ha restituito, nel presentare i dati di accesso allo sportello testamento biologico e DAT che da cinque anni gestisce con il collega psicologo Sergio Borrelli, un interesse crescente verso le DAT e un incoraggiante aumento di richieste di consulenza.
Centinaia di colloqui fatti evidenziano un bisogno di maggiori informazioni e adeguata formazione dei medici sul tema. “Mi aspettavo che le persone venissero a chiedere informazioni più tecniche in merito alla rianimazione o alla ventilazione. In realtà, ci chiedono maggiori informazioni rispetto al significato delle cure.”
Tra i dubbi più diffusi vi sono, così, l’interpretabilità delle DAT da parte del personale sanitario, la differenza tra sedazione ed eutanasia, il ruolo del fiduciario. In compenso, chi ha redatto il biotestamento si sente più consapevole e sereno per il proprio futuro e per quello dei suoi cari. “Quello che proviamo a fare è di indurre una riflessione sul senso della vita, della dignità e sul limite oltre il quale non si vuole andare. Rispetto alle cure, ma anche al prolungamento della vita”.
Il servizio, gratuito e aperto al pubblico, offre una consulenza in modalità digitale o in presenza, a seconda della preferenza degli utenti. Per fissare un appuntamento: biotestamento@vidas.it o 02 725 111.
Questo articolo è tratto dal Notizario “Insieme a VIDAS”.
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