Sono stata così “travolta” dal prologo del libro di Salvatore Niffoi “Il Bastone dei Miracoli” – che sto ancora leggendo – che non ho resistito. Sarà che Niffoi, scoperto per caso “rubando” uno dei libri di mio marito (“La vedova scalza”, che vi consiglio) sta diventando uno dei miei autori preferiti per la sua capacità “ruvida” da vero sardo, pulita, immediata e sincera di descrivere situazioni e sentimenti.
Ed è così che tutto comincia descrivendo, con particolari che risultano nell’immediato quasi eccessivi ma che poi ti rendi conto essere la vera essenza descrittiva, la morte più volte annunciata del vecchio padre, nonno, anarchico e appassionato di letteratura Licurgo Caminera arrivato alla tenera età di cent’anni.
«Oh, Deus meus, che questa è la volta che babbo se ne muore davvero» sono le parole della premurosa figlia Penelope (tutti i suoi figli hanno nomi tratti dalla mitologia greca) asciugando la fronte del padre che
per rubare le ultime boccate d’aria da portare ai polmoni strizzava le labbra a culo di gallina […] Cercò lo sguardo della figlia e, uncinando l’indice che somigliava a uno stecco di biancospino, la invitò ad avvicinarsi. “Penè, figlia mia cara, vai a cercare subito gli altri della famiglia perché sento che me ne sto andando”.
E la stanza, piena di libri si popola: Elena, Antigone, Achille, Ulisse, Ercole… senza dimenticare l’amico di una vita, il vecchio cane Melampu che «gli asciugò le lacrime con le orecchie, poi si liberò dalla sua stretta per correre in strada ad abbaiare contro la morte».
“Babbo mio adorato, ma avete proprio intenzione di morire senza l’estrema unzione? Sapete che la buonanima di mama Carmelina vi aspetta in cielo e vi vuole, in grazia di Dio, senza peccato”. “Esattamente! Voglio morire senza peccato come sono nato, senza dottori e senza preti! E a vostra madre Carmelina, quando la chiamerò nella tomba, state certi che la troverò anche al buio […] I conti con la propria coscienza e con l’aldilà, ognuno li fa a modo suo, senza dimenticare ciò che ha fatto sulla terra. Le preghiere, le croci e l’incenso nulla aggiungono e nulla tolgono a quello che siamo stati”.
Licurgo vuole essere seppellito nel lotto più soleggiato del campusantu di Oddéos e affidare ai suoi eredi non tanto i beni materiali raccolti in una vita fatta di fatiche e sacrifici ma le parole di una saggezza ancestrale, il dono più prezioso per chi resta. Ai figli Licurgo consegna dunque sei buste, in ognuna delle quali c’è una parte del racconto che per anni lui ha scritto, di nascosto, per sé e per loro.
E la storia cominciò… quella del Bastone dei Miracoli, che non vi racconto se no che gusto c’è. Il consiglio è di leggerla quasi come bambini che ascoltano una fiaba.