“Cominciamo dall’inizio, ovvero dalla diagnosi nel 2015: Alzheimer. Mio marito aveva 67 anni, era in pensione dopo essere stato insegnante di lettere al liceo, amatissimo dai suoi studenti, e editor per collane scolastiche. All’inizio, però, andava bene – una parola grossa, ma per qualche anno la nostra vita è rimasta quella di sempre. La malattia ha colpito la memoria – se ne rendeva conto e mi diceva, ho perso tutto. Il suo carattere, però, era intatto ed è ancora così. Emotivamente è vivo, riconosce la figlia, la nipotina, me”.
Tina assiste da quasi dieci anni – tremilacinquecento giorni – il marito Orlando che oggi ha 76 anni e un Alzheimer in fase avanzata ed è uno dei circa 440 mila over 75 non autosufficienti della Lombardia, dove gli ultrasessantacinquenni sono oltre due milioni e 300 mila, un cittadino su quattro.
Conosciamo lo scenario davanti a noi: la crescita esponenziale del numero di anziani fragili richiede una riorganizzazione dei modelli di assistenza e VIDAS lo ha fatto – lanciando un modello testato, nel corso dei precedenti due anni, in via sperimentale.
Il tracollo di Orlando risale al 2021, quando, all’improvviso, non è più in grado di assimilare la pastiglia che ritardava la progressione del suo morbo. Le sue condizioni sono precipitate, è diventato aggressivo. La moglie ha dovuto decidere se ricoverarlo o continuare ad assisterlo a casa. Ha scelto di avere una badante 24 ore su 24 e restare a casa.
Dalla scorsa primavera riceve l’assistenza VIDAS, intervenuta quando Orlando sembrava prossimo alla fine. “Inaspettatamente, si è ripreso perché VIDAS ha dato e dà soluzione a ogni minimo problema. Ho un diario dove annoto tutto: il piano neurologico è compromesso senza rimedio ma il corpo è sano”.
“Se posso azzardare un’immagine, direi che, per me, VIDAS è come la regia che lavora dietro le quinte e io sono l’attrice sul palcoscenico. E Orlando è la narrazione, la storia. Che si svolge su un palcoscenico ma non è finzione. È vita, vita vera”.