Da alcuni mesi, per le attività di registrazione dei contributi, Vidas si avvale della collaborazione della GSP (Global Service Provider), una società che lavora all’interno della Casa Circondariale di Opera impiegando operatori in stato di detenzione a lungo termine. La loro mission è il recupero e la riabilitazione dell’individuo attraverso il lavoro: il connubio sociale per il sociale è stato, tra gli altri, un valore aggiunto per noi nella scelta del fornitore.
Una mattina della scorsa settimana, insieme a Marco e Mariella dell’amministrazione, siamo andati in carcere a visitare la sede della GSP. Ci siamo presentati, abbiamo portato la testimonianza diretta della nostra realtà, della mission e dei progetti, non ultimo quello della costruzione della Casa Sollievo Bimbi, ma soprattutto abbiamo ascoltato. Abbiamo raccolto storie, testimonianze di voglia di riscatto ma anche la volontà di sposare e identificarsi nella mission di aiuto a chi soffre; anche da fornitore, anche da recluso.
Recarsi in carcere fa un po’ effetto, non è cosa consueta. Opera è una città nella città con un suo ospedale, spazi verdi per lo sport e la ricreazione, una biblioteca, la centrale termica, tutti i servizi necessari all’autonomia di più di 2000 persone e una palazzina dedicata al lavoro, oltre ai due alti palazzoni dove sono le celle dei 1.300 detenuti.
Il titolare della GSP ci accompagna, dopo essere passati in tre diversi punti di controlli, nella visita dei vari reparti operativi, ci fa spiegare le tipologie di lavori direttamente dagli operatori addetti.
Gli ambienti sono puliti, luminosi, dipinti a colori vivaci e decorati con murales dagli stessi carcerati, l’unico elemento che ti ricorda il carcere sono le sbarre alle finestre. Mi colpisce il silenzio, in ogni stanza lavorano 6/10 persone ma c’è silenzio. Sarà che sono tutti uomini? Ognuno ha la sua postazione, pulita, ordinata, uno ha addirittura straccio e detergente a spruzzo sotto la scrivania!
Conosciamo le persone, ci spiegano il tipo di lavoro che svolgono e qualcuno spontaneamente ci dice anche da quanti anni è in carcere, che ha figli piccoli, ci racconta il suo passato. Parecchi sono condannati all’ergastolo.
Conosciamo anche i due operatori che registrano le donazioni per Vidas: sono incuriositi e ammirati dalla nostra mission, vorrebbero visitare l’hospice, uno vorrebbe addirittura fare il volontario ed è diventato un nostro donatore! Sono interessati al nuovo progetto della Casa Sollievo Bimbi e ci fanno molte domande.
Arriviamo poi alle domande di lavoro e ai chiarimenti, scorre il tempo e nessuno si accorge che l’ora del pranzo è passata. Solo quando stiamo per uscire chi ci accompagna ci dice che probabilmente oggi non mangeranno e noi ci sentiamo un po’ in colpa.
Durante il tragitto di ritorno mi confronto coi colleghi, ognuno è rimasto colpito da una cosa diversa. A me resta fisso il pensiero che lavorare, in carcere, è un privilegio per pochi, per meritevoli: la percentuale di quelli che lavorano è bassa. Eppure lavorare ti restituisce la dignità di persona, fa passare le giornate, ti fa sentire vivo, ti garantisce un piccolo reddito…