Che cos’è dignitoso? Che cosa significa dignità? Scommetto che se ci venisse chiesto così, a bruciapelo, di dare significato a questa parola saremmo in difficoltà, chiederemmo forse di poter fare qualche esempio concreto e finiremmo per darne una versione molto personale.
Perché quello di dignità è un concetto soggettivo e mutevole nel tempo, anche grazie alla straordinaria capacità dell’essere umano di integrare dentro di sé il limite, adattandosi ad esso.
Ecco perché parlare di morte dignitosa significa concentrare l’attenzione sulla dignità della vita che volge al termine. Non c’è dignità senza rispetto del soggetto e non ci può essere rispetto senza ascolto di chi abbiamo davanti. Passa tutto da lì, dal bisogno che ciascuno di noi ha di continuare ad essere riconosciuto come soggetto sino alla fine.
L’ospedale non crea le condizioni per fare questo (ne parla in questo articolo La Stampa) e non mi stupisce che gli infermieri se ne accorgano più dei medici. Le ragioni sono molteplici. Addurre, come spesso accade, l’organizzazione come causa prima non risponde però al vero. Manca la formazione per accompagnare le persone morenti ma manca ancora prima una cultura che renda possibile – ai curanti prima che ai curati – di riconoscere la morte come parte della vita.