In questi giorni tutti i nostri operatori sono sul campo per assistere chi è più fragile, vulnerabile, chi sta vivendo gli ultimi momenti di vita. Una delle nostre infermiere ci confida la difficoltà nel dover limitare uno degli aspetti più importanti delle cure palliative, il contatto: modificare il linguaggio del corpo, valutare ogni gesto prima spontaneo, rinunciare agli abbracci, mettere tra lei e i pazienti una barriera forzata è qualcosa che protegge ma fa male.
Mi è stato chiesto “come va?”. Cerco di rispondere più come esercizio che altro… l’aggettivo che uso di più per descrivere questi giorni è “triste”. Triste la preoccupazione. Triste la prospettiva. Triste la stupidità… certo. Triste.
Ma questa settimana per me è stato triste (ma davvero triste!) assistere le persone con mascherina e guanti. Accarezzare con guanti in nitrile il viso o la mano di chi – cosciente – da lì a breve sarebbe morto. Parlargli e sorridergli dietro una mascherina che toglie il fiato. Valutare ogni singolo gesto con la paura di mettere in pericolo i miei cari… E poi insegno che in questo mestiere ci si deve dimenticare di sè per il Bene dell’altro. Non oggi. Oggi non si può. Ed è triste. È triste Stare nei pressi faticosi della Morte e pronunciare parole feroci e dolcissime ad un padre, un fratello, una figlia che piangono ad un metro di distanza. E non poter abbracciare e non poter stringere mani. Quando ci si sente abbandonati si ha bisogno di presenze, di abbracci (questo l’ho sperimentato sulla mia pelle…).
Triste anche pensare a funerali in pochi… non è nulla, ma forse non è vero.
Triste leggere il terrore negli occhi dei genitori dei bimbi malati, cui si aggiunge angoscia ad angoscia. Ci chiedono miracoli in fondo che noi purtroppo non possiamo fare.
Tristi i messaggi di chi è rimasto solo e mi parla di echi di silenzio che aumentano la mancanza.
Triste sapere la fatica dei tanti colleghi che si stanno spendendo anima e corpo. Triste non poterli aiutare oggi: oggi ho responsabilità diverse… ma cazzarola che fatica non poter lasciare tutto e andare a fare il mestiere che ho scelto!
Triste.
Eppure… eppure ogni mattina mi sveglio (non che di notte si possa proprio dire che dorma…) e mi sento carica di Speranza. Cerco il Bello. Mi ostino a guardare le piccole cose che mi circondano (che piccole non sono). Cerco di rimanere stretta ai miei ragazzi, ai miei Amici, ai colleghi, a Dio… Ecco: soprattutto stretta a Dio, alla Parola, alle parole che nutrono l’anima. Cerco di leggere tanto. Condivido (forse troppo e me ne scuso) per far circolare il pensiero come l’aria fresca in stanze chiuse.
Ma mi accorgo che è questo che mi permette di andare, di custodire, di Stare sempre e nonostante tutto.
Questo mi nutre e mi sostiene davvero.
Questa mattina è morta Pamela. L’ho vista ieri. Era tranquilla. “Grazie che sei venuta!”.
Piccole cose. Nonostante le mascherine e i guanti. Nonostante tutto.